Con lo sciopero degli ombrelloni, va in scena uno degli atti finali dell’eterna partita sulle concessioni balneari. L’iniziativa è più incisiva sul piano mediatico che pratico: la chiusura sarà infatti solo fino alle 9.30 di oggi, ma lo scopo non era tanto creare un disagio tra i vacanzieri, bensì ottenere l’attenzione pubblica e del governo.

LE CONCESSIONI BALNEARI sono scadute lo scorso 31 dicembre e dovranno essere riassegnate tramite gare pubbliche entro quest’anno. Lo ha deciso la legge concorrenza del governo Draghi, applicando per la prima volta la direttiva europea Bolkestein dopo decenni di proroghe agli stessi titolari. Meloni in campagna elettorale si era impegnata a salvare gli attuali concessionari, ma da quando è a Palazzo Chigi non ha fatto nulla. Nemmeno approvare il decreto attuativo previsto da Draghi per avere regole nazionali sui bandi. Nel frattempo, a novembre l’Ue ha inviato un parere motivato per avviare l’infrazione contro l’Italia.

Sib-Confcommercio e Fiba-Confesercenti, che hanno organizzato lo sciopero, non sono contrarie alle gare ma vogliono ottenere gli indennizzi economici per i concessionari uscenti. Le due associazioni avevano dato l’ultimatum a Palazzo Chigi, chiedendo un intervento prima della pausa estiva. «Sarebbe bastata una dichiarazione concreta di impegno, ma non è arrivata», spiega il presidente di Fiba Maurizio Rustignoli. Per il presidente del Sib Antonio Capacchione, «l’inazione della premier è incomprensibile e irresponsabile. L’unica spiegazione è la sua incapacità politica».

Mercoledì il ministro agli affari europei Raffaele Fitto, che ha la delega sulla materia, si è limitato a dire che «c’è un confronto sul parere motivato della commissione europea che va avanti, con le sue complessità». Non abbastanza per i balneari, che hanno confermato lo sciopero ma al contempo hanno annullato le repliche già annunciate per dopo Ferragosto. «La notizia che il governo dovrebbe intervenire nei primi di settembre rende inutili le prossime tappe della manifestazione previste del 19 e 29 agosto, che pertanto si è deciso di revocare», hanno detto ieri sera Capacchione e Rustignoli. Ma per ora si tratta solo di indiscrezioni, che non arrivano da Fdi bensì dalla Lega, in prima linea ad aiutare i balneari. Oltre al ministro Salvini e al capogruppo Romeo, tra i più attivi c’è il deputato Salvatore Di Mattina, titolare di una concessione in Puglia. Un altro suo illustre collega, il patron del Papeete Beach Massimo Casanova, fino a poche settimane fa europarlamentare nelle file del Carroccio, ha dichiarato la sua adesione allo sciopero per chiedere che «il governo rispetti i patti».

DALLE OPPOSIZIONI esprime diffidenza Angelo Bonelli (Avs), che in vista di oggi ha inviato un appello agli italiani per «invadere pacificamente le spiagge con ombrelloni e asciugamani, perché è ora di dire basta alla privatizzazione di un bene pubblico. Lo sciopero è contro Meloni ma attenzione, perché vogliono mantenere i privilegi». Tuttavia, non è scontato che FdI accontenterà la categoria. Il decreto a cui sta lavorando Palazzo Chigi va incontro alle richieste di Sib e Fiba, introducendo l’obbligo di un indennizzo per i concessionari uscenti a carico dei subentranti. Ma una misura del genere avvantaggerebbe gli attuali titolari senza escludere i grandi capitali. In base alle norme Uni, il valore di uno stabilimento nelle zone di alta valenza turistica supera i 2 milioni di euro, perciò a poter concorrere ai bandi – oltre ai concessionari uscenti che non dovrebbero preoccuparsi dell’indennizzo – sarebbero solo i grandi capitali. Per questo, sono necessarie misure come il limite di una concessione per soggetto e la priorità alle piccole imprese.

MA SU TUTTO CIÒ C’È LO SCOGLIO della commissione europea, contraria a qualsiasi meccanismo preferenziale per gli attuali titolari e determinata a introdurre le gare a parità di condizioni di partenza – come d’altronde prevede la Bolkestein.

UN NODO CHE LE SCARSE capacità diplomatiche di FdI non hanno saputo sciogliere, e sarà ancora più difficile farlo ora che il partito di Meloni ha una posizione marginale in Ue.
Nel frattempo comuni e regioni stanno andando avanti per conto proprio ad avviare i bandi, non essendo procedure che si concludono in pochi giorni. Il problema è che si tratta di demanio, su cui solo lo stato può legiferare. Perciò le norme locali che prevedono gli indennizzi – come quelle approvate nei giorni scorsi da Abruzzo e Toscana – rischiano di essere cassate dalla Corte costituzionale, come già avvenuto ad altre regioni. Solo il governo può intervenire, e nessuno a Palazzo Chigi pare abbia ancora idea di cosa fare.