Nelle intenzioni di Giorgia Meloni si dovrebbe parlare solo dei soldi che non ci sono, sia nel vertice di maggioranza di questa mattina, sole presenze certe i tre leader più Maurizio Lupi per Noi Moderati, sia nel consiglio dei ministri convocato per le 13. La premier farà un discorsetto identico a quello dell’anno scorso: «Uso parsimonioso delle poche risorse disponibili».
A parte il fatto che, rispetto ai due già austeri anni precedenti, tutto è diventato più difficile con il ritorno del Patto di stabilità e la procedura d’infrazione. Le cifre non dovrebbero ancora figurare, si tratterà dunque di fissare i princìpi più che di scendere nel particolare, e il principio è chiaro: salvo miracoli nel reperimento delle coperture, la colonna del dare sarà quasi vuota.

IL GROSSO DELLA SPESA saranno le conferme del taglio del cuneo fiscale, della riduzione delle aliquote Irpef a tre, di Opzione donna e di una quantità di altre voci: un non togliere, più che un dare. Di nuovo ci sarà di certo l’allargamento del bonus mamme alle lavoratrici autonome, che per la premier è irrinunciabile, e forse un aumento ma solo simbolico delle pensioni minime. Misure rilevanti e dunque costose come la Flat Tax fino ai 50mila euro di reddito sbatterebbero sulla parsimonia di Meloni. La discussione verterà su quello che si toglie, con la Lega sulle barricate contro l’ampliamento delle finestre da 3 a 6-7 mesi per chi va in pensione con 42 anni e 10 mesi di contributi.

SONO PASSAGGI SPINOSI perché non c’è praticamente voce della manovra che non presenti problemi e tuttavia per la presidente del consiglio meglio quelle spine, oggettive, imposte dalle circostanze, uguali per tutti, che non scendere sul terreno minato della politica. Solo che il suo comprensibile desiderio non verrà soddisfatto. Né Matteo Salvini né Antonio Tajani intendono infatti fare finta di niente dopo l’estate barricadera del leader azzurro.

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Balneari, il governo a parole difende i “piccoli” ma favorisce i “grandi”Il vicepremier leghista la prenderà indirettamente, sforzandosi di essere quanto più diplomatico possibile. «Auspicherà» che la maggioranza torni a mostrarsi compatta dopo tante fibrillazioni. Probabilmente segnalerà, non a torto, la necessità di affrontare senza lacerazioni interne la già molto difficile prova delle elezioni regionali d’autunno in Liguria, Emilia Romagna e Umbria. Insomma chiederà a Tajani di arretrare e rinunciare a ogni polemica. Non sarà accontentato.

IL LEADER AZZURRO arriva al vertice forte dell’incontro tra il leader del Partito popolare europeo Manfred Weber e Meloni di cui è stato gran regista: un successo dato che il Ppe non ha aperto ma spalancato le porte al riavvicinamento con la premier italiana dopo la crisi di luglio e ha anche promesso il suo pieno appoggio alle richieste italiane di far parte del vertice della prossima commissione europea. Ieri Tajani ha incontrato direttamente la presidente Ursula von der Leyen. Non è riuscito a strapparle la promessa di assegnare a Raffaele Fitto, la cui indicazione sarà ufficializzata proprio oggi dal consiglio dei ministri, una vicepresidenza esecutiva ma non si è neppure trovato di fronte a un no secco e conta sull’appoggio di Weber. Dunque passerà all’offensiva a tutto campo, con una proposta di legge sullo Ius Scholae annunciata ieri mattina, ma soprattutto sull’autonomia differenziata.

Quella del ministro degli esteri sarà una richiesta secca: rinviare a dopo la definizione dei Lep l’assegnazione alle regioni che ne hanno fatto richiesta di tutte le materie. Dunque non solo di quelle per cui la posticipazione è già obbligatoria ma anche di quelle che potrebbero invece essere assegnate subito, già il prossimo ottobre. Probabilmente il leader azzurro motiverà la sua richiesta anche con l’esigenza di evitare errori esiziali in vista del referendum, e si tratterebbe di un tipico avvertimento camuffato perché tutti sanno che, se il referendum abrogativo sarà ammesso come Giorgia Meloni prega che non avvenga, la maggioranza lo affronterà come un formicaio impazzito. E Forza Italia non sarà certo in prima fila per difendere la riforma di Calderoli.

PER SALVINI IL RINVIO sarebbe uno schiaffo in faccia comunque ma tanto più dopo che Weber, al termine della sua escursione romana, ha chiarito senza diplomazia e in apposita intervista al Corriere della sera che il Ppe è pronto ad abbracciare e offrire copertura al governo Meloni-Tajani. Ma con Matteo Salvini spinto ai margini e ridotto all’irrilevanza come lo sono i Patrioti in Europa. Ci saranno scintille a volontà anche perché sul tavolo c’e un’altra questione lacerante, quella delle nomine Rai, ma si può star certi che al termine del vertice verrà comunque sbandierata un’inesistente compattezza. Che latiterà anche sull’altro tema incandescente, le eterne concessioni balneari. Lì però il match è rinviato al prossimo consiglio dei ministri. Si rilitiga tra una settimana.

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