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“What if…?”, dicono gli inglesi, «cosa sarebbe successo se… i nazisti avessero vinto la guerra? Se Napoleone non avesse perso a Waterloo? Se Mussolini fosse sceso in campo contro Hitler dalla parte giusta della storia, quella degli Alleati (vedi l’Epopea fantastorica italiana di Enrico Brizzi)? Come Philip Roth, Michel Houellebecq e pochi altri, Emmanuel Carrère è uno di quegli scrittori che «scava la buca e l’illumina con la torcia». Ed è, in effetti, con una sorta di illuminazione letteraria – quasi esoterica che oggi propone per Adelphi la rielaborazione delle sua tesi di laurea e di un saggio già uscito in Francia nel 1986 col titolo Lo stretto di Bering: roba che accarezza la fantascienza, il sogno e le teosofia. Si tratta di Ucronia (pp. 160, euro 14 traduzione di Federica di Lella e Giuseppe Girimonti Greco).
Cioè del genere letterario, appunto, del “What If…?”. Carrère è un appassionato di storie bugiarde, di menzogne inarcate a fantasia amestosa. Reduce dall’ottimo V13, la cronaca giudiziaria sul processo parigino per l’attentato del Bataclan, lo scrittore oggi si butta sulla paraletteratura partendo dall’esegesi dei testi. «W «Giovanni Papini, qualche decennio fa, raccomandava l’istituzione di cattedre universitarie di Ignotica, ovvero la scienza di tutto ciò che non sappiamo. Se avessimo seguito il suo consiglio, oggi lo studio dell’Ucronia avrebbe fatto più progressi», scrive Carrère. E aggiunge: «(…) E invece è ancora tutto da scrivere. Il termine stesso è poco noto. Gli esperti di fantascienza lo utilizzano di rado, gli storici quasi mai, e se fino alla fine del XIX secolo figurava nel Grand Larousse, nelle edizioni recenti è scomparso.
È stato coniato nel 1876 dal filosofo francese Charles Renouvier, sul modello di quell’Utopia a cui, trecentosessant’anni prima, il Cancelliere d’Inghilterra Tommaso Moro aveva dato un nome destinato a maggior fortuna. A Utopia – dal greco ou-tópos: che non è in nessun luogo – corrisponde quindi Ucronia ou-chróno : che non è in nessun tempo». Per convenzione l’intento dell’utopia è quello «di cambiare ciò che è, o almeno di elaborare un progetto finalizzato a questo cambiamento. Non è un’idea irragionevole, ed è lo scopo a cui si dedicano, nei modi più disparati, sia gli uomini che fondano le civiltà, sia quelli che le sognano migliori. L’intento, scandaloso, dell’ucronia, è invece quello dicambiare ciò che è stato…». La cosiddetta “storia alternativa”, insomma.
Che diverge sia dall’“utopia” che dalla “distopia”, ossia la raffigurazione di un futuro solitamente apocalittico. Sicché, ecco emergere dalla pagine dell’Ucronia carreriana alcuni dei gioielli narrativi piegati ai paradossi della Storia. Il fantastico L’uomo nell’Alto Castello (La svastica sul sole nella prima edizione italiana Fanucci) firmato da Philip K.Dick che s’immaginava evocare nel 1962 un’America sconfitta dall’Asse e divisa tra il Reich tedesco e l’impero giapponese; storia vibrante delle metafore della Guerra fredda, da poco riaccesa dall’omonima serie tv Amazon Prime. Tra l’altro, non è un caso che fu proprio Carrère l’autore della biografia/romanzo dello stesso Dick, Io sono vivo e voi siete morti: «Da adolescente ero un lettore appassionato di Dick, lo sono ancora.
Molte delle mie passioni risalgono alla giovinezza. Da ragazzo ho iniziato a interessarmi anche della storia della Russia e dell’Unione Sovietica, che come saprà era il campo di specializzazione di mia madre», confida lo stesso autore in un intervista a Repubblica. Laddove si acclara che la vera certezza storica è che, tra tutti, sia stata l’Unione Sovietica, a praticare «l’ucronia come esercizio del potere. Riscriveva il passato creando un mondo completamente falso e chiedeva ai cittadini di credere a quella mistificazione». Dopodiché, a scorrere le pagine del libro, ecco risaltare il sopraccitato Roth che nel Complotto contro l’America, svela che a vincere le presidenziali del 1940 non fu Roosevelt bensì Charles Lindbergh, e questo avrebbe portato gli Stati Uniti ad avvicinarsi alla Germania nazista.
Carrère, inoltre, rispolvera titoli semidimenticati, come Napoleone apocrifo, di Louis Napoléon Geoffroy-Chateau, in cui appunto il Bonaparte vincitore a Waterloo non trova più ostacoli alla conquista del globo terracqueo. Altro titolo: lo spiazzante Liaisons du monde di Léon Bopp, ambientato negli anni Trenta di una Francia sovietizzata senza la speranza della grandeur gollista. Anche l’Italia offre il fianco alla narrativa alternativa: Mario Farneti scrive Trilogia di Occidente, deliberatamente fascista, mentre Guido Morselli verga il suo potente Contro-Passato prossimo; ed è in grado di attribuire la vittoria nella Prima guerra mondiale all’Impero Austro-Ungarico e a quello tedesco.
C’è da dire che, nonostante il tono didattico e talora terrorizzante, e la cappa oscura che ricopre il genere, be’, Carrère finisce col descrive l’ucronia, in fondo, come un ineffabile «gioco letterario». Trattasi di una narrazione affascinante richiamata a più riprese dalla letteratura pulp – di E.R. Burroughs, per esempio -, e da mille film e da miriadi di pubblicazioni a fumetti (basti compulsare le tavole dei What if dei racconti Marvel sugli universi paralleli supereroistici). Saggio letterario, raffinatissimo, per pochi ma non per tutti, questa Ucronia, per contenuti e articolazione può essere equiparato a La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica di Mario Praz o a Danse macabre di Stephen King…