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24 Ottobre 2024PROTAGONISTI
Si è spento a novantasei anni il sacerdote e intellettuale fondatore della corrente di pensiero al contempo fonte di speranze, ma pure di controversie dentro la Chiesa
Papa Francesco ne omaggiò il «servizio teologico» e il modo di «interpellare la coscienza, affinché nessuno resti indifferente di fronte al dramma della povertà e dell’esclusione»
Si è spento, a novantasei anni, padre Gustavo Gutiérrez, sacerdote e intellettuale, entrato settantatreenne nell’Ordine dei Domenicani che ieri – dalla Provincia di San Giovanni Battista del Perù – hanno diffuso la notizia della morte. Era e continuerà ad essere considerato se non l’unico, tra i principali fondatori della “teologia della liberazione”, corrente di pensiero al contempo fonte di speranze, ma pure di controversie dentro la Chiesa, dagli anni ’70 del secolo scorso sino al riconoscimento del suo valore – e non solo per il continente latino americano – arrivato con l’attuale pontefice. Ed è stato proprio papa Francesco – che già l’11 settembre 2013 aveva voluto celebrare messa con lui nella Cappella di Santa Marta, a tributare omaggio a questo mite religioso – nel 2018 in occasione del novantesimo compleanno – dichiarandogli gratitudine soprattutto per il «servizio teologico» e il modo di «interpellare la coscienza di ciascuno, affinché nessuno resti indifferente di fronte al dramma della povertà e dell’esclusione».
Nato a Lima nel 1928 in una famiglia di origine quechua, dopo studi di medicina all’Università San Marcos, nonché di psichiatria e filosofia presso l’Università Cattolica (sempre nella capitale peruviana), affrontò quelli di teologia in Cile, passando poi in Europa dove completò i corsi di filosofia e psicologia a Lovanio e conseguì il dottorato in teologia a Lione. Ordinato sacerdote nel 1959, continuò gli studi a Roma, alla Gregoriana, e a Parigi, all’ Institut Catholique. Ritornato in patria, divenne parroco a Lima, docente presso l’Università Cattolica e cappellano dell’Unione nazionale degli studenti cattolici. Sensibile alle condizioni dei diseredati del suo paese, ne avrebbe poi condiviso la quotidianità elaborando in parallelo un pensiero gravido di speranza, evidenziando le linee di emancipazione presenti nel Vangelo, legando la questione della povertà alla solidarietà necessaria e alla protesta liberatrice. Dunque attività accademica e reale vicinanza al popolo, specie nelle comunità di base. A Medellín, nel ’68, tre anni dopo il Concilio (cui aveva partecipato come collaboratore del cardinale Juan Landázuri e di monsignor Manuel Larraín Errázuriz),durante la Seconda conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, si fece portavoce della “scelta preferenziale dei poveri’’. Un esempio di recezione creativa delle indicazioni del Vaticano II dove l’idea di liberazione acquistava quasi uno statuto ecclesiale. Dello stesso anno il saggio La pastoral de la Iglesia en América Latina, e, del ’69 l’opuscolo Hacia una teología de la liberación,
con il testo di una conferenza tenuta l’anno prima a Chimbote preludio a quella che è la sua opera principale: Teología de la liberación, uscita nel ’71 e tradotta in Italia dalla Queriniana nel ’72. Stare con i poveri e gli oppressi, aiutarli ad uscire da condizioni di miseria e sfruttamento, ma rendendoli pure attori di questo processo di liberazione, spingendo per una riorganizzazione della società su criteri di giustizia: sta qui l’ impegno reclamato da queste sue pagine e da molte altre (da non dimenticare almeno la raccolta di saggi intitolata La forza dei storica dei poveri e il volume Alla ricerca dei poveri di Gesù Cristo. Il pensiero di Bartolomé de Las Casas, usciti rispettivamente sempre con Queriniana nell’ 81 e nel ’95). Un impegno palesato anche con il suo esempio e fondato su un presupposto: «il nostro metodo è la nostra spiritualità». Dovendosi sempre ricordare che per Gutiérrez, prima della teoria e delle dottrina, ha contato, appunto, la vita solidale nella concretezza e nello spirito del Vangelo. Insomma più ortoprassi che ortodossia: «La mia prima preoccupazione è il lavoro pastorale, non quello intellettuale» ha ripetuto in più occasioni. Un aspetto che non sminuisce affatto il suo fondamentale contributo al dibattito teologico, né il suo impatto sulla riflessione in corso in Europa e nell’area nordatlantica, laddove le sfide per la teologia arrivavano dai “non credenti”, pronti a mettere in questione il mondo religioso, mentre in America Latina e nell’area caraibica giungevano dai “non uomini”, spogliati di ogni dignità, mettendo in questione più che un mondo religioso un mondo economico, sociale, politico, culturale, disumanizzante, al quale spiegare presenza e paternità di Dio. Inoltre – parole di Gutiérrez nel suo libro programmatico, la teologia della liberazione doveva proporre più che nuovi temi, un nuovo modo di fare teologia: «Così la teologia come riflessione critica della prassi storica è una teologia liberatrice, una teologia della trasformazione liberatrice della storia dell’umanità e, da ultimo, anche della porzione di essa – riunita in “ecclesia” che apertamente confessa Cristo; una teologia che non si limita a pensare il mondo, ma che cerca di porsi come un momento del processo attraverso il quale il mondo è trasformato: aprendosi, cioè, al dono del regno di Dio, nella protesta di fronte alla dignità umana calpestata».
È ben noto che, a lungo, la teologia della liberazione è stata condannata o disapprovata dai settori più conservatori della Chiesa. Accusata di filomarxismo è stata motivo di sofferenze per più di un teologo, finendo però per fare breccia anche in Vaticano. In ogni caso, quanto a Gutiérrez, e almeno qui smentiamo una certa vulgata corrente, non va dimenticato che, pur sotto osservazione e non lontano dalle posizioni esaminate da due “istruzioni” dell’ex Sant’Uffizio (nell’84 su alcuni aspetti della teologia della liberazione, specie in riferimento all’ideologia marxista; nell’86 sulla libertà cristiana e la liberazione), nonostante varie richieste, il pastore-teologo peruviano non è mai stato sanzionato da Roma. Non solo: ha sempre manifestato il suo attaccamento alla Chiesa facendo riferimento al Vangelo delle Beatitudini e non a Marx. Alla conclusione di un processo di chiarificazione con la Congregazione per la Dottrina della Fede l’ex allievo di maestri come De Lubac, Congar, Chenu, Ducoq, sgombrò ogni equivoco ribadendo distanza fra la sua teologia e il marxismo «perché per Marx il cristianesimo era oppressione e il lavoro della mia vita è impegnato nell’idea che il cristianesimo è liberazione». Quanto alla teologia della liberazione, infine, anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI poco teneri con le ali più estreme di essa (tanto da doversi parlare di più teologie della liberazione) ne hanno riconosciuto elementi centrali. Il primo affer-mando che l’opzione preferenziale per i poveri «non è né esclusiva né escludente, ma è ferma e irrevocabile», il secondo che è «implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi». Senza dimenticare che anche la “teologia del popolo”, così importante nella formazione di papa Francesco, era per Gutierréz «una corrente con propri lineamenti all’interno della teologia della liberazione» .