Samy Gemayel
Francesco Semprini
«Il Libano è travolto da una guerra su larga scala, di cui sono responsabili Hezbollah, Israele e la comunità internazionale. Per uscire dal pantano bellico occorre separare ciò che sta accadendo a Gaza da quello che avviene nel nostro Paese, altrimenti assisteremo alla nostra devastazione». A parlare è Samy Gemayel, leader (cristiano) del Kataeb il partito Falangista libanese fondato da suo nonno, Pierre Gemayel.
Il Libano e il Medio Oriente si trovano sull’orlo di una guerra su vasta scala?
«Siamo già nel pieno di una guerra su vasta scala e dalle conseguenze devastanti. C’è un’operazione di terra in corso da settimane portata avanti delle Forze di difesa israeliane, c’è un bombardamento sistematico su diverse zone del nostro Paese, a partire dalla capitale per proseguire nel Sud. Siamo già coinvolti in un conflitto di vasta portata, nel senso più ampio del termine».
Chi è responsabile?
«Tutti sono responsabili di quanto sta accadendo. Hezbollah è responsabile perché avrebbe potuto recidere molto prima il legame tra Hamas e Libano e invece lo ha utilizzato per portare avanti le sue istanze opportunistiche, legando il cessate il fuoco nel Paese dei Cedri con quello nella Striscia. Israele è al contempo responsabile perché ha cercato e voluto questa operazione, parte di un piano più ampio che riguarda tutta la regione. Ed è determinata ad andare avanti, non vuole raggiungere nessun compromesso se non quelli che sono funzionali ai suoi obiettivi. Ma ci sono altri responsabili, la comunità internazionale e i Paesi occidentali perché non hanno fatto nulla per prevenire la situazione in corso. Sono vent’anni che stiamo denunciando quello che fa l’Iran nella regione e l’Occidente ne è testimone».
Cosa avrebbe dovuto fare?
«L’Occidente avrebbe dovuto fare pressioni e far leva su strumenti efficaci per impedire a Teheran di finanziarie le sue procure nella regione con il solo obiettivo di destabilizzare l’area per emergere quale nuovo attore di punta nella regione. Più volte, abbiamo chiesto che la comunità internazionale impedisse alla Repubblica islamica di continuare a finanziare e armare Hezbollah, ma nulla è stato fatto. Nessuno ci ha ascoltati e ci troviamo in una situazione disastrosa, con il Libano che versa in condizioni economiche e sociali devastanti, e una distruzione dilagante. Il prezzo più alto di tutto questo lo pagano i cittadini, le vere vittime sono i libanesi».
«L’Occidente avrebbe dovuto fare pressioni e far leva su strumenti efficaci per impedire a Teheran di finanziarie le sue procure nella regione con il solo obiettivo di destabilizzare l’area per emergere quale nuovo attore di punta nella regione. Più volte, abbiamo chiesto che la comunità internazionale impedisse alla Repubblica islamica di continuare a finanziare e armare Hezbollah, ma nulla è stato fatto. Nessuno ci ha ascoltati e ci troviamo in una situazione disastrosa, con il Libano che versa in condizioni economiche e sociali devastanti, e una distruzione dilagante. Il prezzo più alto di tutto questo lo pagano i cittadini, le vere vittime sono i libanesi».
Ritiene che Hezbollah abbia ancora il potere di resistere?
«Il movimento ha ancora potere sufficiente per proseguire la guerra e continuare a spingere Israele a fare il suo gioco, ovvero buttare bombe e distruggere il Paese. Non ha certo il potere per impedire allo Stato ebraico di raggiungere i propri obiettivi, però ha il potere di provocarlo e spingerlo a continuare a bombardare. Ma soprattutto c’è un vuoto di leadership da parte di Beirut, e quindi l’incapacità a fermare Hezbollah».
Esiste quindi un legame tra la situazione interna al Libano e la guerra in corso?
«Certamente esiste, sino adesso Herzbollah ha fatto di tutto per impedire l’elezione del presidente del Libano e non c’è margine di dialogo in questo senso. Il Partito di Dio punta all’impasse per impedire di raggiungere un equilibrio interno che ne minerebbe la loro solidità. L’elezione del presidente è vitale, perché se c’è una persona che può negoziare un cessate il fuoco e stabilire una road map per la pace, questo è solo il capo di Stato libanese».
Nella lista dei candidati ci sono Suleiman Frangieh, vicino a Hezbollah e alla Siria, e Joseph Aoun che piace agli americani e ad alcuni Paesi arabi sunniti. In quali di questo nomi è da cercare la soluzione?
«Non è il momento di parlare di nomi è solo il momento di convincere Hezbollah ad accettare l’idea di eleggere un presidente, poi si discuterà su chi è il profilo più opportuno. Occorre fare un passo alla volta, ma l’importante è iniziare».
Crede che quanto sta accadendo in Libano e nella regione sia anche figlio delle difficoltà politiche che stanno vivendo gli Stati Uniti?
«Quando gli Usa sono impegnati in campagna elettorale c’è sempre una distrazione nelle questioni di politica internazionale. Se a questo si aggiunge il momento particolare che sta vivendo la politica americana è chiaro che emergono delle fragilità. È troppo presto per dire cosa succederà, ma il primo passo è separare le vicende di Gaza da quelle del Libano, altrimenti si finisce nella trappola di Hezbollah. Siamo addolorati per quanto accade nella Striscia, ma distruggere il Libano non è un modo per trovare una soluzione alla guerra Gaza».