La chiesa ortodossa russa ha avuto un ruolo decisivo nell’offrire argomenti e copertura teologica a supporto dell’aggressione della Federazione russa nei confronti dell’Ucraina. La polemica sull’influenza della chiesa di Mosca e del suo patriarca Kirill ha impegnato numerosi commentatori che hanno avuto modo di sottolineare il ruolo del fattore religioso nel conflitto in corso e il formante identitario offerto dalla religione in Russia e in molti paesi del mondo ortodosso.
Il 23 febbraio di quest’anno Kirill aveva già anticipato quello che a breve sarebbe successo: «Viviamo tempi di pace, ma ci sono anche minacce ai nostri confini». Il 6 marzo era intervenuto per criticare i «cosiddetti valori che oggi vengono offerti da chi rivendica il potere mondiale», ovvero «le richieste rivolte a molti di organizzare una parata gay» che «sono una prova di lealtà a quel mondo molto potente, e sappiamo che se le persone o i paesi rifiutano queste richieste allora non entrano in quel mondo, ne diventano estranei». È stata anche l’insistenza di Kirill sul ruolo dei valori tradizionali che ha portato la Russia ad abbandonare il consiglio d’Europa e a costruire una narrazione dell’identità russa necessariamente opposta ai paesi occidentali, al liberalismo e alla democrazia.
DA KIEV A OHRID
Da anni le ricerche del Pew Forum sul tema suggeriscono una correlazione molto forte tra identità religiosa e identità nazionale in numerosi paesi ortodossi. Non è probabilmente un caso se, a seguito del conflitto russo-ucraino, abbiamo assistito a diversi movimenti sismici in numerosi paesi in cui la religione ortodossa assume un ruolo di primo piano. Ne sono ovviamente un caso di studio rilevante, con le sue divisioni ortodosse interne, la stessa Ucraina e la Macedonia del nord relativamente ai recenti sviluppi che hanno interessato il paese e che affronteremo tra poco.
Come abbiamo già avuto modo di ricordare su Scenari, il 2018 e il 2019 sono gli anni recenti più importanti per inquadrare il conflitto teologico e politico in corso. La concessione dell’autocefalia alla chiesa ortodossa dell’Ucraina da parte di Bartolomeo, patriarca ecumenico di Costantinopoli, ha contribuito in modo decisivo alla delegittimazione della chiesa ortodossa russa in Ucraina e nel contesto globale dell’ortodossia. Questo anche a seguito delle reazioni scomposte di Mosca.
L’altra mossa recente di Bartolomeo, che ha messo in crisi le strategie di Mosca, è da rintracciarsi nella sua capacità di spingere la chiesa ortodossa serba (da sempre vicina a Mosca) a garantire la piena indipendenza della chiesa ortodossa macedone-arcidiocesi di Ohrid. Tale risultato è giunto al termine di una liturgia di riconciliazione celebrata a maggio nella cattedrale di San Clemente a Ohrid.
In quell’occasione, il patriarca serbo Porfirije ha annunciato che l’assemblea dei vescovi della chiesa ortodossa serba aveva deciso, all’unanimità, di concedere l’autocefalia della chiesa ortodossa macedone-arcidiocesi di Ohrid. Decisione giunta a sorpresa perché in pochi si aspettavano un salto in avanti così rapido. Il comunicato ufficiale dell’ortodossia serba conferma l’apertura relativa a uno status canonico di ampia autonomia «con la piena indipendenza interna» e l’instaurazione di «una piena comunione liturgica e canonica».
La chiesa ortodossa serba ha voluto probabilmente evitare lo scenario russo del 2018-2019 quando il patriarca ecumenico di Costantinopoli aveva riconosciuto l’autocefalia della chiesa ortodossa dell’Ucraina anche se questa era sotto l’autorità legale di Mosca. Porfirije ha probabilmente accelerato perché il 9 maggio il patriarcato ecumenico di Costantinopoli aveva già riconosciuto la “canonicità” della chiesa ortodossa macedone con il nome di “arcidiocesi di Ohrid”, molto probabilmente con questo nome al fine di non urtare le sensibilità greche. Anticipando il patriarcato di Costantinopoli, Porfirije ha probabilmente evitato di essere messo all’angolo come era accaduto a Kirill e, allo stesso tempo, ha schivato la crisi politica e d’immagine che ne sarebbe seguita.
Le reazioni russe successive all’iniziativa del 9 maggio erano del resto state molto dure. Numerosi esponenti della chiesa ortodossa di Mosca avevano qualificato l’iniziativa di Bartolomeo come una grossolana intrusione dalla chiara connotazione politica. Tale lettura pare essere confermata anche dal comunicato dell’ortodossia serba che in un paragrafo sembra criticare le azioni di Costantinopoli ribadendo come lo statuto definitivo della chiesa macedone sarebbe stato determinato soltanto da considerazioni di ordine canonico ed ecclesiologico e non di carattere geopolitico.
“SINFONIA” FRA POTERI
Come testimonia la vicenda della chiesa ortodossa macedone, la dimensione geopolitica è connaturata all’ortodossia e al ruolo che le differenti chiese ortodosse ricoprono nei contesti nazionali in nome del principio della “sinfonia” fra potere temporale e potere spirituale. Non sarebbe altrimenti possibile comprendere la lotta per l’indipendenza da Mosca che Poroshenko e la chiesa ortodossa dell’Ucraina intrapresero anche a seguito degli eventi del 2014 di piazza Maidan, e la scelta e la decisione di Bartolomeo di concedere il Tomos con il riconoscimento formale dell’autocefalia ucraina del 2019 che ha rappresentato un colpo durissimo per Mosca.
Bartolomeo venne descritto come un burattino in mano agli Stati Uniti e ai loro alleati, descrizione che spesso riaffiora anche nelle polemiche odierne. La recente aggressione russa ai danni dell’Ucraina non ha fatto altro che aggravare il conflitto religioso sia in seno ai due paesi coinvolti, ma anche nel contesto dell’ortodossia globale.
Per quel che riguarda l’Ucraina è probabile, in caso di una vittoria di Mosca, che la recente e autonoma chiesa ortodossa dell’Ucraina venga soppressa con il trasferimento delle parrocchie alla chiesa ortodossa russa in nome dell’unità tanto evocata nel contesto della dottrina del “mondo russo”. In caso di successo della resistenza ucraina, appare evidente che la chiesa ortodossa ucraina ancora fedele a Mosca dovrebbe trovare un necessario modus vivendi con la chiesa indipendente, anche se si registrano crepe interne e la situazione sembra mutare rapidamente. Circa 400 preti della chiesa fedele a Mosca hanno infatti criticato Kirill e 400 parrocchie hanno abbandonato i filo-moscoviti. Il sinodo del 7 giugno della chiesa ortodossa russa ha inoltre deciso di «accettare le diocesi di Dzhankoy, Simferopol e Feodosiya in diretta subordinazione canonica e amministrativa al patriarcato di Mosca e di tutta la Russia e al santo sinodo della chiesa ortodossa russa».
In sostanza la Crimea, che era rimasta sotto la direzione del metropolita Onufrij, e quindi della chiesa ortodossa ucraina filo-russa, viene posta sotto la diretta tutela del patriarcato di Mosca. Probabilmente questa sarebbe la stessa sorte che toccherebbe ai territori del Donbass nel caso di una vittoria definitiva dei russi.
Tale decisione relativa alla Crimea arriva a seguito della decisione del concilio della chiesa di Onufrij del 27 maggio con cui si prendevano le distanze da Mosca e si decideva di procedere a una modifica dei propri statuti. Per il sinodo della chiesa ortodossa russa «ogni discussione sulla vita della chiesa ortodossa ucraina deve avvenire nei limiti della normativa canonica», questo per ribadire il primato del controllo di Mosca anche al fine di «evitare nuove divisioni nella chiesa».
PROGETTI DI LEGGE
A marzo la Verkhovnaja Rada, il parlamento ucraino ha introdotto due progetti di legge relativi all’attività della chiesa ortodossa rimasta fedele a Mosca. Il primo, relativo alla “proibizione del patriarcato di Mosca sul territorio dell’Ucraina”, consentirebbe alle comunità religiose di cambiare la propria giurisdizione ecclesiastica (ad esempio passando dal patriarcato di Mosca a Kiev) con un voto a maggioranza semplice dell’assemblea parrocchiale. Il secondo è relativo alla “libertà di coscienza e le organizzazioni religiose”, e si propone di proibire l’attività di quei gruppi religiosi che abbiano il centro di governo al di fuori del territorio ucraino e «in uno stato riconosciuto dalla legge come aggressore militare contro l’Ucraina».
Questa legge farebbe sì che tali gruppi religiosi sarebbero costretti a firmare un accordo con lo stato in cui si impegnano a «rispettare la sovranità, l’integrità territoriale e le leggi dell’Ucraina». Ottenuta la registrazione come gruppi religiosi dovrebbero poi concordare le nomine della loro gerarchia centrale e regionale con le autorità statali.
Si tratta, in buona sostanza, di un modello non profondamente diverso da quello che il partito comunista cinese propone in Cina e che, giustamente, è stato tanto criticato in occidente. Per ora l’approvazione di questi progetti di legge è sospesa, ma i sentimenti che li ispirano consentono di comprendere le difficoltà della chiesa ortodossa russa in Ucraina.
GEOPOLITICA DEI CONFLITTI
Le storie di alcuni personaggi di primo piano della chiesa di Mosca ci indicano la profondità dei mutamenti avvenuti in questi ultimi mesi. Hilarion Alfeyev, che per anni è stato il capo delle relazioni esterne del patriarcato di Mosca, ha recentemente provato a difendere l’operato di Kirill sottolineando come la chiesa ortodossa russa non possa assumersi la responsabilità di decisioni politiche e delle azioni dell’esercito russo.
Parlando con la televisione austriaca Orf ha ribadito che la chiesa «ha solo l’arma della preghiera». Tuttavia, il 7 giugno il sinodo dei vescovi della chiesa di Mosca ha deciso di rimuoverlo dai suoi incarichi e di nominarlo metropolita di Budapest. Una sede, quella ungherese, comunque rilevante nel contesto degli attuali equilibri internazionali della Russia. L’azione di Orbán è stata infatti fondamentale per impedire che Kirill finisse nella lista degli oligarchi sanzionati dall’Unione europea. Inoltre, l’Ungheria è oggi, su scala globale, un centro nevralgico del conservatorismo intellettuale mondiale con una forte presenza anche statunitense.
È impossibile non cogliere anche in questa vicenda la portata geopolitica dei conflitti interni ed esterni all’ortodossia russa. Lo ha del resto ribadito il metropolita Antonij, che ha preso il posto di Hilarion alla guida del Dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca. Per Antonij «l’unità universale della chiesa si trova ad affrontare una serie di minacce, perché si cerca di imporci un nuovo ordine dell’esistenza stessa della chiesa, distruggendo quello precedente in cui essa è vissuta per tanti secoli. Ci vogliono imporre una ecclesiologia estranea all’ortodossia».
Sembra anticipare di poco le parole di Kirill dello scorso 3 luglio secondo cui: «La Russia non ha fatto niente di male a nessuno, il mondo si sta rivoltando contro di lei per puro odio, invidia e indignazione». Non la pensano forse così oltretevere, nonostante tutti gli sforzi intrapresi per tenere in piedi un qualche canale diplomatico.
Papa Francesco e la Santa sede hanno tentato ogni sforzo per provare a mantenere un canale di comunicazione aperto con Mosca. Spesso alcune affermazioni hanno generato vivaci polemiche e contestazioni da parte di alcuni politici o intellettuali occidentali.
Ricevendo in udienza in Vaticano una delegazione del patriarcato ecumenico di Costantinopoli in occasione della solennità dei santi Pietro e Paolo, il pontefice ha avuto modo di ribadire che i nazionalismi e le conquiste armate «non hanno nulla a che vedere con il regno che Gesù ha annunciato». Sottolineando l’importanza dell’unità fra i cristiani, ha invitato a non cedere alla tentazione di «trasformare il Padre di tutti nel Dio delle proprie ragioni e delle proprie nazioni». È probabilmente anche questa una risposta alla proclamazione apocalittica del dogma del “mondo russo” che in nome dei “valori tradizionali” ha regalato al mondo le fosse comuni di Bucha e Mariupol.