Alan Friedman
Una suspence durata cinque mesi
Negli annali della politica americana, alcune elezioni sono ricordate per le loro non comuni poste in gioco e la loro polarizzazione al vetriolo. La corsa alla Casa Bianca del 2024, però, segnata da aspri scontri tra Donald Trump e Joe Biden prima e tra Trump e Kamala Harris poi, ha definito un nuovo standard di livore e volgarità che l’hanno resa un’esperienza da incubo per molte persone.
Questa è la storia di una campagna che ha messo in evidenza le profonde spaccature nella società americana, in modalità che pochi avrebbero potuto immaginare, con una retorica incendiaria, razzismo, xenofobia, oscurantismo e un’aggressività che ci hanno sconvolto ripetutamente, fin quasi ad anestetizzarci. Gli eventi del 2024 ci rivelano un’America in cui la coesione sociale si sta sgretolando, dove il ricorso alla violenza nel perseguimento di un fine politico è considerato legittimo da un elettore americano su quattro, dove la paura per una guerra civile a bassa densità è enormemente diffusa. Oggi l’America è un Paese suddiviso in due Paesi diversi che non comunicano tra loro, due realtà separate e alternative. Gli Stati Disuniti d’America.
Le elezioni sono iniziate come una partita di ritorno pressoché surreale, un secondo incontro tra due giganti politici anziani: Donald Trump, l’ex presidente che cercava un ritorno senza precedenti dopo la sua sconfitta del 2020, e Joe Biden, il presidente in carica che ha deciso di sfidare i dubbi sulla sua età e la sua resistenza.
L’inizio del 2024 ha visto le due parti affilare la loro retorica, i comizi elettorali assumere toni sempre più ostili. Biden, che in un primo tempo si era presentato come una mano ferma per tempi turbolenti, ben presto si è trovato spinto ad adottare una posizione più netta. In reazione a ciò, Trump – noto per il suo stile bellicoso – ha trasformato i suoi comizi in vere e proprie tempeste di fuoco, durante le quali ha lanciato sferzanti attacchi verbali all’idoneità di Biden a ricoprire la carica di presidente, virando spesso in invettive personali e denigratorie.
Riunendosi attorno a un leader che credono essere stato defraudato ingiustamente nelle elezioni del 2020, i sostenitori di Trump sono stati galvanizzati dal suo tono di sfida. Le sue esortazioni a “riprendersi l’America” hanno avuto un’eco potente, le sue frequenti e ripetute battute su “Crooked Joe”, il disonesto Biden, hanno portato grande fermento nella sua base, assimilandola a un vero e proprio culto. Nel frattempo, Biden ha incentrato la sua campagna sulla raffigurazione di Trump come una minaccia per la democrazia stessa, rammentando agli elettori l’insurrezione del 6 gennaio e presentandosi come l’ultimo bastione contro il ritorno al caos.
La violenza è esplosa in numerosi comizi, allorché gli scontri tra i sostenitori di Trump e i contro-manifestanti degeneravano, e unità della polizia e della Guardia nazionale erano chiamate a intervenire e ristabilire l’ordine in luoghi come Pennsylvania, Arizona e Michigan.
Poi, a luglio, la corsa alla presidenza ha preso una svolta sorprendente: Nancy Pelosi e la famiglia Obama hanno cooperato per spodestare Biden, che a quel punto è diventato un peso morto elettorale. Biden ha sostenuto la candidatura della sua vicepresidente Kamala Harris, innescando così un susseguirsi frenetico di congetture e ricalibrature in entrambi i partiti.
Kamala Harris ha ottenuto un precoce sprint iniziale, perlopiù perché non era Joe Biden. George Clooney e le star di Hollywood hanno fermamente appoggiato Harris, che ha riempito interi stadi, ha disseminato carisma ed è sembrata passare in testa a Trump. Sul versante democratico, c’è stata un’immediata impennata di entusiasmo tra gli elettori più giovani e più progressisti, agli occhi dei quali Kamala Harris ha rappresentato una scelta fresca e storica al tempo stesso, la prima donna di colore a capo del ticket per la presidenza di un grande partito. Il cambiamento, tuttavia, ha infuso nuove energie anche nella base di Donald Trump, che ha approfittato del tasso di approvazione relativamente basso di Kamala Harris e ha cercato di bollarla come una marxista radicale.
Ad agosto, il vetriolo della campagna ha permeato ogni possibile aspetto della vita americana, amplificato dal divorante circo mediatico. Gli spot pubblicitari politici sono diventati brutali manovre per mettere a terra l’avversario, e ognuna delle parti ha lanciato incessanti messaggi aventi l’obiettivo di incutere paura. La presenza di Donald Trump sui social media, riacquisita dopo mesi di sospensione, si è trasformata in un profluvio di insulti pungenti e di post carichi di cospirazionismo che hanno preso di mira Kamala Harris.
Nel frattempo, la campagna di quest’ultima ha adottato un approccio controllato ma altrettanto insistente e ha fatto circolare una serie di spot che hanno messo Donald Trump in correlazione a movimenti violenti ed estremisti. La campagna della candidata democratica non ha esitato a fare leva sulle condanne penali di Trump, ricordando agli elettori le sue incriminazioni e raffigurandolo come un personaggio instabile e pericoloso, il cui ritorno al potere lacererebbe il Paese.
Le amministrazioni dei social media hanno fatto fatica a gestire l’ondata di violenta retorica online. Si sono moltiplicate le notizie di maltrattamenti e minacce nei confronti di giornalisti, scrutatori e funzionari pubblici. Su molteplici piattaforme l’espressione “guerra civile” è diventata più volte un trend, mettendo così in luce tutta la portata del malessere della nazione.
Con l’avvicinarsi di novembre, le tensioni hanno raggiunto il punto di rottura. Più di 70 milioni di americani hanno votato prima del 5 novembre, avvalendosi del diritto di “votare anticipatamente per corrispondenza”. I timori di violenze nell’Election Day hanno incentivato un sostanziale aumento di massa nel voto anticipato, ma anche tale procedura è stata implicata in controversie. I legali di Donald Trump e i suoi alleati politici si sono preparati per quelli che quasi sicuramente diventeranno risultati contestati in alcuni Stati. Con l’avvicinarsi del giorno delle elezioni, alcuni esperti hanno messo in guardia da potenziali violenze, a prescindere dal risultato delle urne.
Il 5 novembre, mentre gli americani si recavano ai seggi elettorali, nella nazione si è percepita una grande apprensione, invece di una sensazione di festa. In numerosi Stati sono state dispiegate unità della Guardia nazionale e le aziende attigue alla Casa Bianca si sono barricate in vista di possibili tumulti. Malgrado gli inviti alla calma di entrambe le campagne elettorali, le cicatrici dei mesi più recenti hanno inflitto già danni sostanziali profondi al tessuto sociale del Paese.
Queste elezioni – iniziate come una partita di ritorno tra due veterani, per trasformarsi poi in uno scontro aspro tra Donald Trump e Kamala Harris – lasciano il Paese esausto, diviso e incerto nei confronti della strada da seguire. Le profonde lacerazioni interne hanno indebolito l’America sulla scena internazionale e stanno accelerando il declino dell’ascendente degli Stati Uniti ovunque.
Le elezioni del 2024, pertanto, non sono una consultazione elettorale per una presidenza come un’altra: sono un referendum sul futuro della democrazia americana. Il prossimo presidente dovrà affrontare una sfida che intimidisce: cercare di sanare e unire una nazione ferita. Potrebbe non essere possibile.
Traduzione di Anna Bissanti