Elena Loewenthal
E poi, per carità, non bisogna chiamarlo antisemitismo perché non è quello, perché è un’altra cosa. Cosa? Resistenza? Odio a casaccio? Per carità, guai a chiamare le cose con il loro nome, e cioè “antisemitismo” perché è un’esagerazione, figuriamoci l’antisemitismo nell’Europa del terzo millennio! È roba vecchia, superata, morta, l’antisemitismo.
E invece no, invece l’antisemitismo è vivo e vegeto, visto che ad Amsterdam dopo una partita di calcio è successo quello che è successo ai tifosi di una squadra – toh – israeliana. Violenze brutali, caccia all’uomo, ragazzi che mancano all’appello perché sono, sì, ancora una volta degli ostaggi.
Ostaggi della violenza calcistica, ma non solo. Ostaggi di un odio che va chiamato con il suo nome anche se la cosa dà “fastidio” perché contraddice tante illusioni, tanta ipocrisia, tanta comodità. No, macché, l’antisemitismo dalle nostre parti non esiste più. E invece esiste eccome, viste le violenze di Amsterdam, ieri notte. Una furia che si è scatenata in nome della caccia all’ebreo: proprio quella roba lì, nient’altro.
Guarda caso, oggi è il 9 novembre, cioè l’anniversario della Notte dei Cristalli: il funesto, terribile calcio d’inizio della partita nazista allo sterminio ebraico, a quella soluzione finale che avrebbe dovuto rendere l’Europa Juden frei, “libera da ebrei”. Una “quasi coincidenza” decisamente molto significativa e non poco inquietante. Il guaio è che di coincidenze così è zeppo il calendario perché l’Europa si porta dietro una storia millenaria di violenze e persecuzioni ai danni degli ebrei, una storia insomma zeppa di antigiudaismo e antisemitismo. Una storia che purtroppo continua a non far parte soltanto di un passato da commemorare ma anche di un presente da cui stare in guardia.
È stata la stessa sindaca di Amsterdam, Femke Halsema, a riconoscere le «somiglianze con un pogrom» di quella notte nera, durante la caccia all’uomo, anzi all’ebreo. È una forte sirena d’allarme, ha detto il ministro degli Esteri israeliano Saar. Che suona nella città di Anne Frank: che orribile assurdità, a ben pensarci. Là dove lei è stata prima nascosta e poi tradita, là dove centinaia di migliaia di persone ogni anno si mettono in coda per visitare l’appartamento segreto in cima alla scala, dietro un armadio.
Tutto è orribile, nel violento capitolo di antisemitismo cui Amsterdam e l’Europa hanno assistito l’altra notte. Tutto chiama orrore e sgomento. Ma no, non incredulità. Chi crede che l’antisemitismo sia debellato in Europa si sbaglia di grosso. Chi ha la lucidità di riconoscere le cose come stanno non ha, purtroppo, niente di cui stupire dalla notte nera di Amsterdam. Perché, purtroppo, è così: l’antisemitismo non è affatto morto. Ha assunto un volto un po’ diverso, come del resto ha sempre fatto per millenni in cui nell’ebreo cui dare la caccia si riconosceva tutto e il contrario di tutto: plutocrate e straccione, bigotto e pervertito, satanico e inetto. La più autentica cifra di questo pregiudizio è proprio la sua duttilità, la capacità di adeguarsi alle circostanze: ogni scusa è sempre stata buona per odiare gli ebrei. E come di ogni pregiudizio, attenzione: la causa non va cercata nell’oggetto, bensì nel soggetto, non in chi lo subisce ma in chi lo genera e ravviva. Bisogna allora piantarla di nascondere le parole sotto la polvere, dietro gli spalti di uno stadio, fra le fila di manifestazioni di strada: l’antisemitismo è qui fra di noi, in mezzo a noi. Quello è, non altro.
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