«Davanti a noi c’è il disastro. E se non interveniamo per tempo rischiamo di uscire dal novero dei paesi più avanzati».
Roberto Antonelli, presidente dei Lincei e filologo romanzo tra i più autorevoli nella comunità internazionale, per la prima volta rompe con quella diplomazia culturale che da sempre caratterizza la più prestigiosa accademia scientifica italiana. L’occasione è l’inaugurazione dell’anno accademico, a Palazzo Corsini. E la sua relazione introduttiva, in una riunione a porte chiuse, si rivela una drammatica denuncia del declino a cui è condannato il Paese dai tagli dei finanziamenti alla ricerca. Un pericoloso rallentamento, che avviene «nel pieno di una crisi epocale».
Che succede professor Antonelli?
«In realtà non è la prima volta che i Lincei lanciano un grido d’allarme. Prima di me è intervenuto più volte il fisico premio Nobel Giorgio Parisi, rimasto inascoltato. Il rischio è che diventi un rituale patetico in un’Italia che affonda».
Questa volta il tono della denuncia sembra ancora più forte.
«Perché la questione è diventata drammatica. Già negli anni passati presentammo a due governi uno studio sull’andamento della ricerca scientifica in Italia. Un documento molto rigoroso, preparato da Ugo Amaldi, Luigi Ambrosio, Luciano Maiani e Parisi, con il quale si dimostrava che, per non soccombere, era necessario incrementare i fondi della ricerca con un piano pluriennale di investimenti. E il risultato qual è stato? Per la ricerca scientifica ora il governo non solo non prevede alcun aumento, ma nel prossimo triennio impone un taglio di 702 milioni di euro. Una condannadefinitiva».
La preoccupazione nasce anche dal fatto che nel 2026 si esauriranno i fondi del Pnrr.
«Questo è il nodo centrale.
Proprio in previsione dell’esaurimento di questo prezioso finanziamento, avevamo chiesto un incremento per evitare di perdere gli investimenti già avviati. Nella ricerca scientifica i progetti devono essere portati avanti, altrimenti si rischia di perdere tutto. Ma questo rallentamento potrebbe avere conseguenze nefaste per la produttività del lavoro, per il Pil, per l’occupazione e per la qualità della vita degli italiani. Rischiamo di restare fuori dal novero dei paesi più avanzati».
Senza fondi certi, la ricerca si paralizza.
«Un ricercatore deve poter contare su investimenti pluriennali, perché i risultati arrivano nel lungo periodo. Ma i tempi della ricerca non coincidono con le esigenze di una politica che vive giorno per giorno, puntando su un tornaconto elettorale immediato».
Lei ha definito quella attuale «una crisi epocale».
«Come potrei definire la crescente presenza dell’Intelligenza Artificiale non solo nella ricerca scientifica ma in ogni settore della nostra vita?
Questa è la vera rivoluzione del nostro tempo, che rimette in discussione anche un ordine e un’articolazione internazionale del potere. Oggi questa rivoluzione è nelle mani di pochi gruppi economici globali che non rispondono ai criteri delle politiche pubbliche. Restare indietro su questo terreno è molto rischioso».
L’Italia è il fanalino di coda in Europa per i finanziamenti della ricerca. Ma anche l’Unione Europea non sta messa bene.
«Anche qui ci soccorrono i numeri. Noi stanziamo l’1,4 per cento del Pil per la ricerca e lo sviluppo. La media dell’Unione Europea è intorno al 2,3 per cento. La media degli Stati Uniti è del 3,4 per cento. E la percentuale della Cina è intorno al 2,4 per cento, in continua crescita.
Ovviamente il prodotto interno lordo di Stati Uniti e Cina è assai più alto del nostro, quindi va visto tutto in proporzione. Queste cifre disegnano uno squilibrio ai danni dell’Europa che l’elezione di Trump con il vessillo di “America First” contribuirà ad aggravare».
La riduzione dei fondi per la ricerca in Italia avrà effetti negativi anche sulla fuga dei nostri cervelli.
«Inevitabile. E anche su questo terreno le cifre sono sconfortanti. L’Istat ha calcolato che tra il 2010 e il 2021 oltre 18 mila giovani dai 24 ai 34 anni — tutti in possesso almeno di una laurea — sono andati a lavorare all’estero.
Grazie al Pnrr, dopo il 2021, c’è stato un certo numero di rimpatri che però ha ridotto solo in parte la perdita del capitale umano. Sa quanto costa tutto ciò allo Stato italiano? Basta moltiplicare 108 mila euro a persona — questi sono i costi per la formazione di un ricercatore — per il numero degli espatriati.
Una cifra spaventosa. Oltretutto questa emorragia non viene compensata dal corrispondente afflusso di laureati stranieri in Italia perché siamo agli ultimi posti per capacità attrattiva».
Nella relazione lei ha fatto un riferimento critico anche alle università telematiche: è a rischio la qualità dell’offerta pubblica mentre proliferano le università private online.
«Oggi in Italia le università telematiche sono undici, per un numero complessivo di 240 mila studenti, ossia il 13,5 per cento degli iscritti all’università. Un numero molto più alto rispetto alle telematiche presenti nei paesi europei più avanzati. Ora non ci sarebbe niente di male se rispettassero gli standardqualitativi propri delle università pubbliche, ma molte di queste aziende sono diplomifici che niente hanno a che vedere con la formazione universitaria: i parametri relativi al numero dei docenti sono assolutamente insufficienti».
Lei ha dipinto davanti a noi un quadro disastroso.
«Si, ma attenzione: il disastro non dipende certo dalla qualità dei nostri ricercatori che spiccano per l’eccellenza: la loro produttività è ai primi posti nella classifica europea, prima di Francia e Germania».
Come se ne esce?
«Dai Lincei parte la proposta di realizzare una sinergia virtuosa tra le fondazioni bancarie, i grandi operatori finanziari, le imprese e i cittadini per raccogliere finanziamenti significativi su programmi selezionati. Dovrebbe nascere un Comitato di garanti capaci di scegliere i settori strategici sui quali investire e poi monitorare le ricerche: ai Lincei non è difficile trovare tali profili.
Viviamo in tempi di guerra — perora una guerra economica, scientifica, tecnologica, culturale — e dobbiamo essere capaci di trovare soluzioni per la salvaguardia di tutti».