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9 Dicembre 2024La kermesse
Il via con albero e presepe
«Atreju è più grande,
noi mai fischiato gli ospiti»
L’ex leader: la ribellione parte con un “io non ci sto”
Virginia Piccolillo
roma
«Perché Bertinotti? Perché è un bel momento di confronto. Fa sempre piacere ascoltare tutti. Chiaramente poi noi tracciamo la nostra rotta, la nostra visione del mondo. Però confrontandoci con tutti gli altri». Arianna Meloni ha appena dato il via ufficiale ad Atreju, accendendo l’albero di lucine alto venti metri, sotto una pioggia battente che non ha fermato i selfie, mentre si infila nella tensostruttura dove Fausto Bertinotti sta conquistando la platea attaccando Stellantis. E al Corriere la responsabile della segreteria politica di FdI spiega il senso dell’Atreju extralarge del Circo Massimo: «È un evento che è diventato sempre più grande e partecipato. E avendo spostato il periodo, da settembre a dicembre, è naturale che accolga il Natale come merita. Quindi l’albero e il presepe». Ma soprattutto il confronto: «Ad Atreju abbiamo sempre rispettato tutti. Nessuno dei nostri ospiti è mai stato fischiato».
Figurarsi lui, Fausto Bertinotti: 84 anni, abito e stile principe di Galles, un passato da leader della Cgil e di Rifondazione comunista, un «disallineato» che torna 18 anni dopo. E che, a confronto con Pietrangelo Buttafuoco e Paolo Bonolis, sferra un attacco a Stellantis: «Ha visto ridurre sistematicamente il lavoro, la produzione, i salari, rendendo al contempo sempre più ricchi gli azionisti e i vertici. Vincono i cattivi, che si mimetizzano al punto di far sembrare naturale che sia così». E aggiunge: «Adriano Olivetti ha creato un’azienda dove i vertici non potevano avere stipendi 10 volte superiori a chi lavorava in quell’azienda. Se oggi in Stellantis il manager guadagna 500 volte più di un operaio si può dire che Olivetti è buono e Stellantis è cattivo? Per me sì. E le conseguenze sono disastrose per la società». Bertinotti sfugge al quesito di Buttafuoco sul marxismo-leninismo che esiste ancora in Cina («L’Ue non è quella della fondazione, non lo è la Cina») e non rinuncia a difendere Elly Schlein: «Fa come può la leader di un centrosinistra molto malconcio». E su Landini «vorrei che ci fosse meno linciaggio verso di lui e più attenzione ai lavoratori che scioperano». Ma porta tutti ad annuire su un punto: «La ribellione comincia dal dire “Io non ci sto”».
Spiazza anche Bonolis raccontando di quando Silvio Berlusconi (applauso della platea al solo evocarlo) lo invitò a Palazzo Grazioli a cena. «C’era il risotto tricolore, le solite cose, Letta e Bonaiuti. A un tratto mi dice: “Caro Bonolis, le faccio una proposta straordinaria che cambierà il corso della sua vita. Lei farà il portavoce di Forza Italia”. Io risposi con un sorriso: “A preside’, io manco l’ho votata, come posso fare il portavoce?”. Lui si fece una risata e la cosa è finita lì».
Il ricordo
L’applauso a Bonolis che ricorda Berlusconi: mi voleva portavoce di FI, ma io non lo votavo
Un po’ disallineato ieri anche l’ex presidente del Senato Marcello Pera, che intorno al tema introdotto provocatoriamente da Guerino Testa di FdI («Esiste una cultura non di sinistra?») ha risposto alle domande di Tommaso Labate sull’egemonia culturale spiegando che non è una questione di nomine: «L’egemonia la fa la società civile se è in grado di farla e le idee nascono nella società. Quindi sono contrario al ministero della Cultura. Mi piaceva quello dei Beni culturali. Perché un governo gestisce i beni culturali, non fa la cultura».
In attesa di Giorgia Meloni che chiuderà la kermesse domenica 15, molti gli ospiti annunciati: dal presidente dell’Argentina Javier Milei via via fino a Giuseppe Conte. Elly Schlein no. Ha rifiutato l’invito anche quest’anno. Ma appare nei poster con i «gufi».