Per paradosso, pesa quasi più della condanna a sei anni di carcere, chiesta dall’accusa nel processo di Palermo, l’assoluzione di Salvini dall’ipotesi di sequestro di persona per l’arcinota vicenda della nave ong Open Arms, a cui fu negato per giorni l’attracco in un «porto sicuro» malgrado le condizioni di salute e di bisogno in cui versavano i 147 migranti raccolti in mare, nel Canale di Sicilia. Le due conclusioni favorevoli agli imputati – quella per Renzi di giovedì e quella per il leader leghista di ieri – sono in realtà molto differenti.
Mentre il primo si era dichiarato innocente, protestando (comprensibilmente, visto che nel corso della vicenda si era arrivati all’arresto dei genitori, poi assolti) per l’atteggiamento vessatorio dei magistrati nei confronti suoi e della sua famiglia, il secondo aveva continuato a rivendicare la sua condotta, ripetendo qui e là «lo rifarei», perché a suo dire si trattava del legittimo svolgimento di una politica: la sua. E soltanto sua, viene da aggiungere, visto il tenore delle testimonianze, ritortesi contro di lui, dell’allora premier del governo gialloverde Conte e dell’allora capo politico del Movimento 5 stelle – nonché ministro dello stesso esecutivo – Di Maio. Concordanti su un punto: Salvini faceva sempre di testa sua e non c’era verso di convincerlo a cambiare idea.
Va detto che il Salvini del 2019 era salito alla guida dell’intero centrodestra grazie al buon risultato (17%, secondo solo a quello dei pentastellati) conseguito nelle elezioni politiche del 2018. E aveva poi raddoppiato (34%) nelle europee del 2019, percentuale che sognava di ripetere o superare facendo saltare il governo con la famosa (tristemente famosa) crisi del Papeete e portando il Paese a elezioni anticipate che invece non ci furono. Rimasto il solo dell’alleanza sovranista finito all’opposizione (nel frattempo era nato il governo giallorosso), insidiato dal partito dell’attuale premier Meloni già in ascesa, Salvini era poi stato costretto dai suoi a sostenere Draghi, lasciando alla stessa Meloni il vantaggio di ritrovarsi l’unica a lottare contro l’esecutivo tecnico di unità nazionale voluto dal Quirinale. E cominciando un declino le cui conseguenze si videro nelle elezioni del settembre 2022, con la leader di Fratelli d’Italia che raccolse più del doppio dei voti dei suoi alleati, che stentavano sull’8-9%. Un tonfo, per il Capitano leghista. Malgrado ciò Salvini ha continuato la sua corsa, sterile dal punto di vista dei consensi, tanto che a giugno ha dovuto ricorrere all’aiuto carico di ambiguità di Vannacci, ma indispensabile, forse, a tenersi in piedi, mentre il Carroccio, soprattutto la parte nordista, cominciava a mugugnare sulla temuta ipotesi che a un certo punto il leader potesse affiancarsi il generale appassionato della X Mas, e perfino metterlo al suo posto. Così, mentre le azioni del Capitano continuavano a scendere, malgrado la campagna incessante contro i magistrati di Palermo e una continua richiesta di solidarietà a cui l’elettorato non rispondeva, i leghisti del Nord si sono riorganizzati e hanno imposto alla segreteria della Lega lombarda, il «core business» del partito, il capogruppo al Senato Romeo, oggi perfino un possibile candidato per il dopo, nel caso appunto dovesse rivelarsi necessario convincere/costringere alle dimissioni un Salvini ridotto senza argomenti e incapace di riconoscere che sono arrivate al capolinea, sia la sua Lega trasformata in un partito di estrema destra, filoputiniana, antieuropea, pur dotata di un’identità riconoscibile che nessuno può negarle, sia l’altra sua Lega nazionale «per Salvini premier», obiettivo ormai fuori dalla realtà. Non sarà facile convincere il Capitano a scendere dalla tolda della sua nave che ormai fa acqua da tutte le parti.
Le regole interne della Lega sono costruite in modo da lasciargli sempre l’ultima parola, ma si sa che in qualsiasi storia politica, anche quella di un leader carismatico come Salvini è stato indubbiamente, il momento, quando arriva, arriva. E la saggia assoluzione dei giudici di Palermo spinge chiaramente in quel senso.