Maria Corbi
Una collezione di moda senza uno stilista è un po’ come una squadra di calcio senza allenatore, un set di Cinema senza regista, un coro senza direttore. E anche se i giocatori sono bravissimi c’è il rischio che manchi la magia che regala un fuoriclasse. E da Gucci la mancanza di un designer, dopo la cacciata fulminea di Sabato De Sarno il 6 febbraio scorso, si fa sentire nonostante sia abbastanza logico pensare che la collezione che abbiamo visto ieri al Superstudio Max di Milano sia stata disegnata in gran parte da lui.
Il titolo è «Continuum», in omaggio alla storia della maison e sembra un rito di passaggio, perché “the show must go on” anche se il meteo della Moda ci indica che sia in atto una tempesta perfetta che sta scuotendo non solo Gucci, ma quasi tutti i grandi brand. Vuoi la crisi geopolitica, la Cina che non è più big spender, i prezzi cresciuti in maniera esponenziale perdendo qualsiasi rapporto con la qualità e anche con il fascino di una griffe, il fatto è che oggi per tornare ai fatturati di un tempo occorre seguire, o almeno tentare, la filosofia gattopardesca: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Nell’attesa abbiamo visto, da Gucci, abiti con la cifra del rigore sartoriale sia per lei che per lui. Con un’ispirazione che parte dalla fine degli anni ‘60 – gli albori del ready-to-wear Gucci – e percorre i decenni successivi. Un “continuo”, appunto, sul filo della memoria di una maison che ha vissuto sia il minimalismo degli anni ’90 sia il massimalismo dell’era di Alessandro Michele. Ad amalgamare il tutto i codici della casa, come il Morsetto, forse il più riconoscibile di tutti i motivi Gucci, che compie settant’anni (nel 1955 venne applicato alla della borsa Horsebit). Da maxi a mini, si moltiplica non solo sulla pelletteria e diventa un elemento pop nella gioielleria, o su una catena/cinta che adorna un abito dalla scollatura profonda.
C’è colore, ma non c’è il rosso «Ancora» che ha definito la breve era De Sarno. Tanti i vip a fare da testimoni a questo passaggio e tra loro il super ospite Jannik Sinner, il numero uno de tennis mondiale. La passerella è verde bosco, tonalità che indica speranza? Chissà. Certo è che nell’aria c’è il fermento di un’attesa che potrebbe finire prestissimo (a giorni) con la nomina del nuovo direttore creativo che avrà su di se la responsabilità di riportare luce e fatturato alla maison e anche al gruppo Kering. Tra i nomi si fa quello di Hedi Slimane. «Ci si eccita troppo con speculazioni», dice Stefano Cantino, ceo di Gucci. «C’è questa specie di telenovela sui designer ma nella moda è come in tutti altri settori .Anche i calciatori cambiano squadra e Paese, e nessuno se ne accorge». E ancora: «C’è un marchio con due “C” che è stato senza designer per stagioni quindi è tutto normale. Lavoriamo per il bene del marchio, il resto sembra speculazione di fantapolitica».
Una settimana della moda iniziata ieri con alcuni anniversari (Fendi e Kway) e qualche debutto come quello di Lorenzo Serafini da Alberta Ferretti. Il designer è da dieci anni alla direzione di Philosophy, la linea giovane della casa di moda e adesso porta questo vento creativo generazionale anche alla linea principale. Una collezione contemporanea che parla alle ragazze, quelle che lo sono per anagrafe e quelle che si sentono tali, nel rispetto del Dna del brand. Uno stile progressive romantic, come l’ha definito lui. «Sono donne che sanno essere indipendenti senza rinunciare ai sentimenti e alle emozioni» spiega il giovane creativo. Con i cappotti double in cashmere che svelano eteree sottovesti in georgette e mise da sera in chiffon, il tessuto che ha reso famosa Alberta Ferretti. Tutto parla di una seduzione delicata che si esprime anche con abiti colonna rosso passione o in fluidi abiti in satin. E scarpe rigorosamente “flat”, a terra. Perché romantiche si, scomode no.