Dopo l’aggressione verbale al presidente ucraino Zelensky, venerdì scorso nello studio ovale della Casa Bianca, non vi possono essere dubbi sulle intenzioni della presidenza Trump II. Abbandonare l’Ucraina a sé stessa, allearsi con la Russia, dividere l’Europa. Intenzioni perseguite con uno stile gangsteristico. Di qui il paradosso che imprigiona i nazionalisti europei. Vediamo.
Intanto, mettiamo i punti sulle i. Sebbene Trump II rappresenti la vittoria di un nazionalismo americano a lungo minoritario, tuttavia esso non rappresenta l’America in quanto tale. Il 5 novembre scorso, considerando il voto popolare, Trump ne ha ottenuto il 49,8 per cento (poco più di 77 milioni di elettori), mentre Kamala Harris ne ha ottenuto il 48,3 per cento (quasi 75 milioni di elettori). Il Paese è spaccato come una mela sul piano elettorale, una spaccatura che riguarda le politiche ma anche i valori.
Una metà del Paese continua a riconoscersi in una visione internazionalista dell’America, in base alla quale la forza di quest’ultima risiede nel suo sistema di alleanze e non già nel suo unilateralismo imperiale. Parlare di America in generale è sbagliato. Nondimeno, Trump II è nelle condizioni istituzionali e politiche per introdurre, come sta facendo, pratiche autocratiche nel sistema costituzionale del Paese. Ma non mancano le reazioni. Alcuni ordini presidenziali sono stati fermati dalle corti, altri sono stati messi in discussione dagli Stati a maggioranza democratica, all’interno del Congresso si sentono i mal di pancia per la politica spietatamente de-regolativa voluta da Elon Musk (che vorrebbe imporla anche all’Europa). Le elezioni di mid-term del novembre 2026 sono dietro l’angolo. L’America non è solo Trump.
Se forti sono i contro-bilanciamenti interni, tali non appaiono quelli esterni. In poche settimane, Trump II ha smantellato il tradizionale sistema delle alleanze americane in Europa (come la Nato) e ha legittimato la Russia e la politica imperiale perseguita dal suo presidente, nel disorientamento e nel panico dei leader europei. Certamente, umiliare gli europei non corrisponde agli stessi interessi economici americani. Come ha scritto su Foreign Affairs il più autorevole senatore repubblicano, Mitch McConnell, gli europei, per sostenere l’Ucraina, «dal gennaio 2022, hanno ordinato più di 185 miliardi di armi moderne alle imprese americane». Ma a Trump II, ciò non importa. Per lui, l’Europa integrata è stata fatta «per fregare l’America». Per rendere l’America di nuovo grande, Trump II mira a smantellare l’Ue sul piano commerciale e a lasciare i suoi Stati membri privi di una copertura sul piano militare (nucleare). Ed è qui che il contro-bilanciamento europeo fa fatica ad emergere, anche per gli ostacoli opposti dai leader nazionalisti europei, a cominciare dalla nostra premier, che sono prigionieri di un paradosso. Quei leader (a cominciare dalla premier Giorgia Meloni) sostengono il nazionalismo di Trump II per ragioni ideologiche, senza rendersi conto che ciò significa fare gli interessi dell’America e non dei loro Paesi. In realtà, dovrebbero fare l’opposto. Di fronte all’offensiva commerciale di Trump II, solamente una risposta europea può contenerne le conseguenze devastanti. Di fronte alla decisione di Trump II di lasciare l’Europa senza la copertura di un deterrente nucleare, solamente una deterrenza europea può riempirne il vuoto. Nessun Paese europeo può sostituire l’America con i propri arsenali militari. Una sicurezza europea che non può essere gestita dal coordinamento intergovernativo, come è stato fatto fino ad ora. La nostra premier dovrebbe riconoscere che la logica intergovernativa, da lei strenuamente difesa, gioca a favore degli Stati membri militarmente più forti (come la Francia) e non di quelli più deboli (come l’Italia). Ha ragione a chiedere al presidente francese Macron, che era andato a Washington D.C. pochi giorni fa, «in quale veste sei andato a parlare con il presidente Trump, visto che non avevi ricevuto nessun mandato a rappresentare l’Ue». Ma se la nostra premier vuole che l’Ue non venga egemonizzata dalla Francia (insieme alla Germania e alla Polonia), allora dovrebbe operare per costruire a Bruxelles un sistema sovranazionale di difesa europea, i cui responsabili, scelti e controllati democraticamente, possano disporre di capacità militari indipendenti da quelle degli stati membri. Perché stupirsi che Kaja Kallas, Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, non sia stata neppure ricevuta dal Marco Rubio, segretario di Stato americano, nella sua recente visita a Washington D.C.? Il potere di Kallas è di presiedere le riunioni del Consiglio dei ministri degli affari esteri dell’Ue, poco di più. I nazionalisti europei dovrebbero rovesciare la prospettiva. Senza un’Europa politica, dotata di una forza militare indipendente, il nazionalismo americano si mangerà quelli europei, in nome della comune ideologia nazionalista. Con l’aiuto di Trump II, i nazionalisti europei sono il cavallo di Troia per svuotare l’Ue dall’interno.
Insomma, la rivoluzione della destra trumpiana sta mettendo in discussione il sistema costituzionale del Paese, ma anche il sistema di alleanze creato da quest’ultimo negli ultimi ottant’anni. L’Europa integrata è sola e abbisogna di essere rafforzata. Cara premier Giorgia Meloni, invece di simpatizzare con l’America First, non sarebbe meglio che lavorasse per l’Europa First?
Sergio Fabbrini