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26 Aprile 2025
Francesco e l’insegnamento di Doroteo di Gaza
26 Aprile 2025
Principi, marchesi e pure conti: tra le ville e i palazzi l’aristocrazia nera romana si prepara al funerale di Francesco e guarda ai possibili successori. Con qualche speranza per il futuro, e una certa nostalgia del passato. Reportage
di
Nel grande superbowl romano che è il funerale di un pontefice, frullano gli elicotteri nel cielo, squillano gli allarmi della Protezione civile sull’iPhone, manca solo il grande Cristo elitrasportato, e siamo dentro Fellini, gli ingorghi sono quelli di “Roma” e l’isterismo dei giornalisti americani e delle suorine è da “Dolce vita”, più Giubileo più primavera (con ponti). Ma tra giornalisti, pellegrini, turisti, abitanti incolpevoli, una classe sociale specifica è stravolta: l’aristocrazia nera. Nicchia leggendaria, “nera” perché sostenitrice del papato contro quella “bianca” pro Savoia, quasi tutti hanno un papa in famiglia, tanti almeno un santo, tutti certamente vari cardinali, e un vestito nero per le esequie e le udienze. Immagino conciliaboli, riunioni, messe (qualcosa traspare dall’Instagram nobiliare della capitale: la duchessa Marilù Gaetani d’Aragona però ha offerto una colazione pasquale con molti preti, brindisi al Santo Padre ancora vivente, e poi è partita per il Marocco). Sospetto trame alla “Nuovi Mostri”, episodio detto del “Malconcio”, quando un Alberto Sordi alias Giovan Maria Catalan Belmonte si aggira per Roma su una Rolls bianca (detta “il salotto viaggiante”) verso una riunione segreta per lo scisma Lefebvre (il vescovo scissionista scomunicato, molto conservatore, che piaceva ai nobili romani), ma i tempi evidentemente sono cambiati. “Ma quale nobiltà nera, qui nessuno ci ha più una lira” mi dice una dama. “Una volta c’era Elvina Pallavicini, detta appunto ‘la regina nera’, che appoggiava appunto Lefebvre. Ma adesso c’è la figlia, che è comunista!”. Ma è sicura?
Di certo l’aristocrazia romana ha visto il suo potere ridursi nel tempo, forse non è stata mai così bistrattata come con Papa Francesco. Scena prima, Appia Antica, Regina Viarum, tra le ville di Valentino, Sophia Loren, Berlusconi. Qui sorge la Furibonda, avamposto piacentiniano, teatro sociale da “Grande bellezza”. Marisela Federici, regina dell’Appia, è in prima linea, in nero e diamanti, per una piccola colazione, stranamente senza i religiosi che affollano i suoi party. “Sono tutti occupati nei preparativi del funerale”, sussurra. Si recita però una piccola preghiera per il Santo padre prima di mettersi a tavola. “Era un vero rivoluzionario sudamericano”, dice donna Marisela a proposito del Papa defunto. “Non arrivo a dire peronista, però un gaucho che galoppava la pampa. Revolucionario pampero con una croce al posto del cavallo! E’ dovuto scendere a patti con il generale Videla per proteggere i suoi gesuiti!”. Certo non amante dei nobili. “Ah, guardi. All’Immacolata, quando il Papa si reca come ogni anno a deporre i fiori a piazza di Spagna, noi eravamo tutti lì in balcone all’ambasciata della Santa Sede, e lui non ci ha degnati di uno sguardo! Aveva occhi solo per i derelitti!”. Ma era un Papa democratico, si sa. “Sì, ma non si può togliere la pompa, o il folklore. Il folklore nella Chiesa è importante. Un Papa con la bara per terra! Non esiste. E diceva buon pranzo e buonasera! Ci mancava che dicesse buon appetito e piacere!”. Certo non dice piacere il cardinal ghiottone impersonato da Roberto Herlitzka che nel film di Sorrentino proprio in questa villa enumera le sue ricette, né lo direbbe il cardinal Giovan Battista Re, oggi decano dei porporati, che qui è stato tante volte, con la veste scarlatta e il pastorale, ritratto tra Mario d’Urso e Alberto Arbasino. Bresciano come Paolo VI. “Bono quello!”, salta sulla sedia Bante Boncompagni Ludovisi, grande e grosso, seduto di fronte a me, pare dipinto da Goya. Altezza Serenissima, i Ludovisi possedevano un tempo pure l’Isola d’Elba e ne erano sovrani; davano il nome a un quartiere di Roma, oggi gli è rimasto il Casino dell’Aurora affrescato da Caravaggio, mica male. Ma Paolo VI è per i nobili romani come Frau Blücher per i cavalli in “Frankenstein Junior”. Ha riformato la Chiesa, tolto la messa esclusivamente in latino, soprattutto abolito la Guardia nobile e decimato la corte pontificia, cioè quella struttura di principoni che tra piume di struzzo e catafalchi ereditariamente si davano il cambio nelle mansioni di rappresentanza (vedi il “Marchese del Grillo”). “Non che ci importi molto della corte pontificia”, fa Sua Altezza Serenissima. “Noi siamo principi sovrani. Mica andavamo a servire da altri”. E mi elenca venticinque titoli nobiliari, Principe di Piombino, Viceré di Aragona, Viceré di Sardegna, Principe di Gallicano, Principe di Venosa, Duca di Fiano (al quarto titolo nobiliare, Fantozzi col Fiano era già ubriaco).
Qualcuno consiglia: bisognerebbe sentire gli Orsini, che si tramandavano il titolo di Principe assistente al Soglio Pontificio dalla notte dei tempi fino al fatale ’58, quando Filippo Orsini, capo della casata, ebbe una storia extraconiugale con l’attrice inglese Belinda Lee giunta a Roma per girare un “peplum” a Cinecittà. Il severissimo papa Pio XII, l’ultimo principe della Chiesa, demansionò per sempre la principesca famiglia. Il titolo passò ai Colonna e poi ai Torlonia, ma Papa Francesco dal 2017 non l’ha più concesso a nessuno. Maledetto!
Cerco Martine Bernheim Orsini, figlia del celebre banchiere, e moglie del principe Orsini (nessuna parentela invece con l’eminente esperto geopolitico), ma non mi risponde. Mi raccontano anche che con sommo scorno gli Orsini non solo non sono più assistenti, ma si stavano finalmente celebrando in questi giorni il loro, di Papa, Benedetto XIII (uno dei tre di famiglia), con due mesi di conferenze e eventi, le “Giornate orsiniane”, culminanti il 29 aprile nell’esecuzione di una
Messa a 16 – sedici! – voci composta nel 1724 e mai eseguita, ma han dovuto cancellare la polifonica e nobiliare messa per il lutto di Papa Francesco. Non glie ne va bene una (a Roma questi funerali hanno stravolto tutto, le cause di canonizzazione dei santi, cerimonie d’ogni tipo, palinsesti Rai, l’unica attività che è rimasta immutata sono i concerti di Jovanotti, forse perché figlio di funzionario vaticano). Ma tornando ai Sacri palazzi, mi risponde invece affannato don Hugo (con la h) Windisch Graetz, principe serenissimo pure lui, sposato addirittura con un’arciduchessa d’Asburgo che fa le borze (con la zeta). “Non posso, non posso, sono in Vaticano”, intima al telefono, lui è uno dei “gentiluomini di Sua Santità”, quelli che attualmente ricevono i grandi nomi in visita, dunque in queste ore da Trump al principe William al pòro Zelensky. E che ha accolto J.D. Vance, che ha compiuto l’ultima visita al pòro Francesco (ce lo immaginiamo, il falco dall’occhio bistrato Vance, come la storica ambasciatrice americana Clare Booth Luce ferocemente conservatrice che a un certo punto tormentò talmente Pio XII sull’importanza di una Chiesa integralista che il pontefice era sbottato: “Signora, non deve convertirmi, sono cattolico anch’io”).
Insomma non si chiamano più assistenti al soglio, né camerieri segreti, ma ci sono sempre, perché qualcuno ’sto lavoro deve pur farlo. Oggi sono appunto “Gentiluomini di Sua Santità”, non si sa quanti siano né che professione svolgano, mi dice al telefono il professor Alberto Bochicchio dell’Ordine di Malta, che ne è illustre membro, dei gentiluomini e dell’Ordine. “E’ un servizio che si presta, non un titolo, certo è meglio avere comunque un curriculum di fede, e soprattutto vivere a Roma”. Per i nobili romani ci saranno dei posti riservati oggi al funerale? “No”. Ma dirigete voi le cerimonie? “No, noi accogliamo solo le autorità. Comanda la Prefettura della Casa Pontificia”.
Prefetto della Casa Pontificia era Padre Georg Gänswein, segretario particolare di Ratzinger, ma è stato spedito lontanissimo da Francesco. Erano fatti per non capirsi, del resto. Lui era forse il grande stylist dietro i leggendari outfit di Ratzinger, e prestante nel gioco del tennis, bellissimo con polpaccio guizzante, molto Richard Chamberlain di “Uccelli di Rovo”. Appassionato di cerimoniale. Poi ebbe la pessima idea di scrivere un libraccio su Bergoglio. Licenziato su due piedi alla morte del Papa tedesco, peggio che Elon Musk coi dipendenti statali americani. Venne rispedito in Germania, e ultimamente “promosso” a nunzio in Lituania, daje a ride. Intanto un prefetto della Casa Pontificia non c’è più, per volere di Francesco. Esiste solo un reggente, dice Bochicchio: mons. Leonardo Sapienza.
Un tempo c’era pure il titolo di Gran Maestro dei Sacri palazzi. “Sì, era la prima carica del Vaticano. Il nonno di mio marito, Alessandro Ruspoli, con la benda sull’occhio ha accompagnato dal Papa tutti, comprese Evita Peron e la regina Elena” mi dice al telefono la principessa Maria Pia Ruspoli. Il principe Alessandro Ruspoli appunto l’occhio da pirata e l’alta uniforme è stato una leggenda, ma pure suo marito don Lillìo, quello che sosteneva “meglio i nobili che gli ignobili”, il principe contadino, vicino all’Msi. “‘Questo è uno tosto’, diceva Papa Francesco di mio marito”, ricorda la principessa. Certo peccato che la carica di Gran Maestro è stata abolita. “Sì, da Paolo VI”, sospira la principessa. Sempre lui. Don Lillìo sosteneva che era stato un errore. “Be’ perché nella corte pontificia c’erano persone la cui fedeltà era assicurata da secoli di vicinanza alla Santa Romana chiesa. Poi sono arrivati degli sconosciuti”. Oltre ai principi romani della nobiltà nera sono parte prelibata anche i marchesi del baldacchino, cioè famiglie appunto con titolo inferiore ma equiparate nel trattamento: con dei papi in famiglia, e dunque con in casa sempre pronto un baldacchino, oltre a un tronetto (da tenere girato verso il muro), e un ventaglio, nel caso il prestigioso pontefice si presentasse all’improvviso (non come Bergoglio, che imboccava spesso, in casa di ospiti non titolati tipo Edith Bruck e Emma Bonino, sprovviste peraltro di baldacchino). La marchesa Flaminia Patrizi Montoro è, oltre che marchesa di baldacchino, anche avvocata di diritto canonico. “Sto proprio adesso in fila in Vaticano, oddio, aspetti, sto superando i tornelli”, dice affannata al telefono. Ma è una visita speciale? “No, ho preferito mischiarmi alla folla, questo Papa del resto non amava le formalità, mi sembrava giusto così”. Senta marchesa, ma voi ce l’avete veramente il baldacchino? “Certo!”. E dove sta? “Nel palazzo di San Luigi dei Francesi. Abbiamo anche il vessillo”. E che è il vessillo? “I Patrizi, la famiglia di mio marito, sono da sempre vessilliferi!”. Complimenti. “I vessilliferi avevano il diritto di sfilare davanti al Papa col vessillo, appunto. Mio suocero è stato l’ultimo vessillifero, poi è stato abolito tutto, col Concilio Vaticano II”. Ecco qua, Sempre Paolo VI. Pure i vessilliferi ha eliminato. Senta marchesa, già che la sento, lei che è avvocata canonista, ma il cardinale Becciu, quello degli scandali immobiliari, ha o no il diritto di partecipare al Conclave? “Eh, bisogna vedere se ci sono cause ostative”. Ma è stato scomunicato. “Ma secondo il Vaticano II questa non è una causa ostativa, ha diritto sia a partecipare che pure ad essere eletto”. Quindi potremmo avere Papa Becciu. “Sì, tra l’altro credo fosse stato vittima di un complotto. Ma aspetti, oddio, qua mi stanno buttando a terra”. Andrà al funerale? “Certo”. Ma tra la folla o nel privé riservato ai nobili? “No, no, tra la folla. Anche se avrei potuto richiedere un invito speciale”. Ecco, perché poi questa volta le esequie saranno complicate anche a livello logistico. I nobili romani non saranno malridotti come quelli del marchese del Grillo ma sono pur sempre sei chilometri a piedi, dal Vaticano a Santa Maria Maggiore (forse, diabolicamente, Papa Francesco l’ha fatto apposta per stremare principi e principesse). “Ci saranno soprattutto i diseredati”, dice in un soffio Maria Pia Ruspoli. “Qualcuno dice addirittura… i carcerati”.
Papa Francesco, che fu originale per residenza in vita, scegliendo di vivere alla Domus Santa Marta, si differenzia anche in morte. Non sarà infatti seppellito in Vaticano bensì nella Basilica di Santa Maria Maggiore, di fronte alla stazione Termini, famosa perché eretta da Paolo V Borghese e dove sorge la cappella paolina appunto dei Borghese. Donna Alessandra Borghese, ma vi sfrattano? Esproprio proletario? “Ma no, anzi siamo felici, hanno trovato un posticino tra la nostra e la cappella Sforza, che stanno predisponendo” dice la principessa al telefono. Però lei era molto legata a quell’altro Papa, Ratzinger, si ricordano le frequenti visite in motorino, per cena, insieme alla principessa Gloria Thurn und Taxis (della famiglia che inventò i taxi, oggi così preziosi a Roma). “Vero. Però mi deluse un po’ dimettendosi. Al contrario, ero piuttosto perplessa su Papa Francesco, ma negli ultimi giorni della sua vita mi ha coinvolto completamente col suo comportamento”. Un tempo lei teneva una rubrica, “Aplomb Vaticano”. Che deve fare il prossimo Papa per avere un po’ di aplomb? “Non è il momento per l’aplomb, il mondo è cambiato”, dice donna Alessandra. Non è d’accordo donna Marisela. “Senza il folklore non c’è niente! Perché gli ortodossi si vestono d’oro, e noi niente? Dobbiamo sembrare poveri ma il popolo vuole la ricchezza. E pure quell’auto scassata, che costa più di una Mercedes e si rompe sempre!”. Basta, basta. Avete dei candidati preferiti? “Ovviamente Parolin: è un grande diplomatico, e conosce bene l’America latina: è stato nunzio a Caracas, e ha grande conoscenza della curia”, dice Federici che nasce venezuelana. Per Alessandra Borghese? “Ne ho due, ma non lo dico”. Posso provare a indovinare? “Vada”. Müller e Parolin. “Sbagliato”. Ma devono essere italiani o esteri? “Europei”. Intanto, a Santa Maria Maggiore, nel quartiere Esquilino, multietnico, sgarrupato, sempre in attesa di gentrificazione, le telecamere americane sono già puntate. Pizzettari e gelatai si fregano le mani e lustrano le insegne. Se fossimo a Milano sarebbe già pronto un “Bergoglio District” perché, manco a farlo apposta, proprio dietro Santa Maria Maggiore sorge l’Ambasciata d’Argentina. Chi ha una terrazza l’ha affittata alle troupe ed è partito. E’ meglio del Salone del Mobile insomma. Ma dal Mobile al nobile, ecco il conte Gelasio Gaetani Lovatelli, esperto di vini, e della vita in generale, che abita in hotel come i signori d’un tempo, e la mattina passa a distribuire monete agli homeless del quartiere. Elemosiniere laico, lei si chiama come Papa Gelasio I. “Sì, l’ultimo Papa africano della Chiesa, era nato ad Algeri, ma discendo in realtà da Gelasio II Caetani”. Caetani con la C o Gaetani con la G è una vecchia questione a Roma, risolta quando un Gazzoni bolognese la pose, e si sentì rispondere: e lei? Comunque Gelasio Gaetani dice col suo noto understatement “Papa Gelasio II fece anche le Gelasiadi, che furono importanti ma non ricordo bene per quale motivo. Ma sono anche discendente di Bonifacio VIII, che nel 1300 ha inventato il primo Giubileo, perché la Chiesa aveva bisogno di denaro”. Lei ha un candidato favorito? “Pizzaballa, che era nunzio a Gerusalemme: potrebbe sanare la questione israelo palestinese”. E Francesco? “Sa, nel mio ambiente lo chiamavano il papa comunista, ma la nobiltà romana è un po’ così”. Che poi ci sarebbe pure la questione del 25 aprile. Giusto oscurarlo per instaurare ben cinque giorni di lutto (cosa mai avvenuta) per un Papa? Trasale la principessa Ruspoli. “Ma certo, la morte di un Papa è un avvenimento planetario, il 25 aprile è solo una faccenda locale, italiana. E poi il Papa è un Capo di stato, è un re!”. Principe Boncompagni, e lei che ne pensa della questione Liberazione? “Ma quale liberazione? Semmai, capitolazione!”. Insomma, più che nei “Nuovi mostri” siamo in “Una vita difficile”, quando Sordi povero e affamato giornalista, alla vigilia del Referendum sulla Repubblica, finisce a cena dai monarchici principi Rustichelli. Comunque sia, viva il Papa, e viva pure la povera Repubblica, vabbè.
Per una volta da Marisela Federici niente religiosi: “Sono tutti occupati coi preparativi”. Qui è di casa il cardinale Re, decano dei porporati
Papa Paolo VI per i nobili romani è come Frau Blücher per i cavalli in “Frankenstein Junior”. Ha abolito la corte pontificia e la Guardia nobile Oggi ci sono i Gentiluomini di Sua
Santità. E non c’è più un prefetto della
Casa Pontificia dopo mons. Georg
Gänswein, esiliato in Lituania Il quartiere Esquilino è ormai “Bergoglio district”, con la basilica di Santa Maria Maggiore e l’ambasciata dell’Argentina accanto