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Si è parlato in questi giorni della possibilità di un nuovo parco cittadino in connessione con la futura mensa universitaria nell’edificio delle Pie Disposizioni, fuori Porta Romana. Un’ipotesi timidamente accennata dal vicesindaco Michele Capitani come “occasione” per offrire un’area verde agli studenti e ai cittadini. Ma viene da chiedersi: si ha davvero idea di cosa significhi realizzare un parco urbano in una città medievale come Siena?
Un parco urbano non è un’aiuola ampliata né un collegamento pedonale tra due edifici. È una scelta di visione, di spazio e di città. Ed è proprio questo che manca nella proposta: una visione. Se vogliamo parlare seriamente di un parco per Siena, non possiamo accontentarci di una striscia verde incastrata fra mura e viabilità secondaria. Dobbiamo guardare altrove.
Una vera opportunità potrebbe essere rappresentata dall’area della Fortezza Medicea, dello stadio e dei parcheggi adiacenti. Lì si potrebbe immaginare un grande parco urbano, capace di tenere insieme funzione pubblica, verde accessibile, snodi di mobilità, cultura e tempo libero. Un polmone vivo, fruibile da cittadini, studenti e visitatori. E al tempo stesso, una risposta strutturale ai problemi di accesso e traffico che gravano su San Prospero.
Questa idea non è nuova, e non è un sogno astratto: fu già pensata dall’architetto Bernardo Secchi all’interno di una più ampia riflessione sul futuro della città. Oggi, riprendere quell’intuizione potrebbe restituire senso e prospettiva a una Siena che rischia di ripiegarsi su se stessa.
Un progetto di questo tipo potrebbe davvero rivoluzionare il modo in cui Siena si relaziona con il proprio centro storico, riconnettendolo in modo fluido e sostenibile con il resto della città. Ma per farlo servirebbe coraggio, capacità di pianificazione, e la volontà di ripensare anche spazi oggi trascurati o mal sfruttati, come Piazza Matteotti: uno snodo fondamentale che potrebbe diventare un vero ingresso alla città storica, oggi ridotto a un terminale di asfalto.
E c’è di più. Lanciare un concorso internazionale, aprire un confronto pubblico, chiamare a raccolta architetti e urbanisti di livello nazionale e internazionale significherebbe non solo alzare la qualità della proposta, ma trasformare l’intera operazione in un grande atto di comunicazione urbana. Una potente azione di marketing territoriale, capace di raccontare una Siena che investe sul futuro, che non si chiude nella conservazione ma sceglie di innovare, con intelligenza e ambizione.
E forse, soprattutto, Siena ha bisogno di un “sogno”. Di un progetto capace di riaccendere l’immaginazione collettiva, di un’idea che unisca sviluppo urbano, sostenibilità, vivibilità e bellezza. Un parco urbano vero, pensato come sistema, potrebbe essere non solo un’opera utile, ma il simbolo concreto di una ripartenza. Un volano economico, certo, ma anche un gesto culturale, identitario, di visione. Perché le città, prima di ripartire, devono “sognare”.
E i grandi progetti, quando sono fondati su una visione chiara, si possono realizzare per stralci: con intelligenza, con pazienza, con la capacità di costruire nel tempo un disegno coerente. Come diceva Bettino Craxi, gli amministratori sono come i piantatori di datteri: non vedono quasi mai ciò che hanno iniziato a realizzare. Ma è proprio questo il senso della buona politica.
Ma se tutto questo non è possibile, almeno evitiamo l’ipocrisia. Non chiamiamo “parco” quello che parco non è: un passaggio funzionale, una zona filtro, un ritaglio urbano a servizio di un progetto già deciso. Le parole, in città complesse come Siena, contano. E “parco” è una parola che merita rispetto.