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Abitare il mondo, non possederlo
Francesco d’Assisi si chiamava in realtà Giovanni di Pietro di Bernardone. Il nome « Francesco» gli fu dato dal padre, ricco mercante di stoffe, forse per via dei suoi rapporti commerciali con la Francia. Francesco nasce e cresce in un ambiente di mercanti e commercianti, tra botteghe, tessuti e bilance. Impara fin da piccolo il valore delle cose, il linguaggio dello scambio, la logica del guadagno. Sa misurare, valutare, contrattare. La sua formazione è legata al mondo degli affari e alla mentalità borghese che, nel XIII secolo, si afferma con forza nelle città. Non si può non tenere conto di questo aspetto per capire fino in fondo la radicalità della scelta di Francesco. Quando sceglie la povertà, non compie solo un gesto spirituale, ma un atto di rottura con la cultura mercantile del misurare, del valutare, del contrattare, del guadagnare… Si spoglia nudo davanti al vescovo e alla città, restituisce tutto al padre, rinuncia a ogni proprietà: un gesto simbolico che segna il rifiuto della «logica economica» nella vita che sta intraprendendo. La sua fede è imitazione concreta di Cristo povero, non solo nella parola, ma nella forma di vita. Proprio perché conosce bene la misura delle cose Francesco sceglie di vivere senza misura, nel dono totale, sottraendosi a ogni calcolo e alla logica dello scambio, del potere e del denaro. Se rileggiamo in questa luce il Cantico delle Creature appare chiara la distinzione, implicita ma radicale, tra l’abitare e il possedere. San Francesco non celebra la natura come qualcosa da sfruttare, da soggiogare, da ridurre a oggetto, bensì come realtà vivente con cui intrattenere relazioni di fraternità. Il Sole, la Luna, il Fuoco, l’Acqua, la Terra – tutte le creature sono chiamate fratello o sorella. Il linguaggio del Cantico non è metaforico, ma teologico: ogni creatura partecipa della stessa origine, è segno della presenza del Creatore e ha una sua dignità intrinseca. In questa visione, abitare il mondo significa riconoscere la propria collocazione all’interno di una rete di relazioni. Significa vivere di ciò che il Creato offre con gratitudine, sfuggendo all’ansia dell’accumulo. L’abitare è legato al rispetto, all’ospitalità e alla cura; il possedere, invece, genera distacco, alienazione, competizione. Il linguaggio di Francesco è pervaso da un senso di meraviglia. Ogni creatura è lodata per ciò che è, non per l’uso che se ne può fare. Il Sole, la Luna, l’Acqua, la Terra non sono elementi da sfruttare ma realtà che esistono in sé, con la loro bellezza e la loro voce. Questo stupore è il contrario dell’atteggiamento consumistico, che riduce tutto a risorsa da consumare, esaurire o merce da scambiare. Nel Cantico, l’economia del dono sostituisce quella dell’appropriazione. Se tutto è dono, nulla è veramente posseduto. L’uomo non è il vertice della creazione ma il fratello del Sole e della Luna, perché ad esse accomunato dall’unico Padre Creatore cui solo «se konfane le laude et onne benedictione». Insomma, il Cantico propone un’etica dell’interdipendenza e della fraternità cosmica. Ora, potrebbe sembrare un azzardo, come accennavo all’inizio, ma credo che il Cantico si offra come un sorprendente manifesto contro l’idolatria contemporanea. Dove l’economia del desiderio, con i suoi idoli, ha sostituito il senso del limite e il marketing ha colonizzato con i suoi «fantasmi » l’immaginario (fantasmi che spingono a desiderare oltre il desiderabile), il Cantico appare come una contro-narrazione potente: non siamo padroni del mondo, ma ospiti.
Una critica all’idolatria del nostro tempo
L’idolatria contemporanea non è fatta di vitelli d’oro o divinità pagane, ma di beni di consumo, ideologia del successo e della produttività. È un’idolatria sottile, pervasiva e perversa, che trasforma i mezzi in fini e confonde l’essere con il possesso. In questa prospettiva, la casa non è più luogo delle relazioni affettive ma status symbol; il lavoro non è più servizio ma strumento di affermazione; la natura non è più madre ma risorsa da spremere. Il Cantico delle creature smaschera queste idolatrie proponendo una logica opposta: l’essere invece dell’avere, la relazione invece del dominio, la nostra finitezza come benedizione. Il mondo non è un supermarket a nostra disposizione, ma un mistero da abitare. L’uso strumentale della Creazione è una forma di idolatria perché mette l’uomo al centro, come misura di tutte le cose, cancellando ogni riferimento al Creatore e alla gratuità del dono. San Francesco, invece, restituisce la centralità a Dio, lodandolo per tutte le creature, non al posto loro. È il rifiuto umile di un antropocentrismo arrogante, che invita a riconosce il valore della realtà che ci circonda oltre la sua utilità. Nell’era del riscaldamento globale, della crisi ecologica che segna una frattura tra uomo e natura, il Cantico delle creature è più attuale che mai. Non è solo un testo spirituale, ma un manifesto etico e culturale che propone un altro modo di «abitare» il mondo. Rileggere oggi il Cantico – a scuola, nelle università, nei gruppi, nelle parrocchie ma anche in famiglia – significa riscoprire la bellezza del piccolo, la forza della semplicità. Significa imparare a ringraziare invece di pretendere, a contemplare invece di possedere. San Francesco, uomo del Medioevo ma profeta del futuro, ci invita in sostanza con il Cantico a un cambiamento radicale di sguardo. Non è un testo per devoti baciapile, ma una bussola esistenziale capace orientarci nelle secche dell’idolatria consumistica. In un mondo che ci divora e si divora, il Cantico è un invito a lodare, ad abitare, a custodire. A riscoprire che tutto è dono. E ciò che è dono non si possiede, ma si accoglie.