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28 Luglio 2025Siena, oltre il Monte: una città che ha smarrito la rotta
Per chi ha conosciuto la Siena di fine Novecento, il presente somiglia a un risveglio brusco dopo un sogno lungo e dorato. Una città che sembrava aver trovato un equilibrio raro tra cultura e finanza, storia e innovazione, si è ritrovata in pochi anni a fare i conti con la perdita delle sue certezze. Il Monte dei Paschi, certo. Ma non solo.
Negli anni Novanta Siena vive un decennio d’oro: la banca più antica del mondo attraversa una fase di modernizzazione, si quota in Borsa nel 1999, diversifica le attività, consolida la rete nazionale. Nel frattempo, la Fondazione Mps, nata con la riforma Amato e ancora azionista di maggioranza, diventa il grande motore della vita pubblica locale.
A partire dal 2004, grazie agli ingenti dividendi ricevuti dalla banca, la Fondazione comincia a erogare decine di milioni di euro ogni anno al territorio. Cultura, sanità, università, ricerca, sport, contrade: Siena diventa un unicum nel panorama italiano, un laboratorio di benessere civico apparentemente inespugnabile. Si costruisce l’immagine di una città capace di autosufficienza, orgogliosa, compatta, protetta.
Ma proprio in quegli stessi anni iniziano a manifestarsi i primi disequilibri, che Marco Parlangeli — direttore generale della Fondazione Mps dal 2004 al 2009 — racconta con lucidità nel suo libro Dieci anni che sconvolsero il Monte. Dietro la facciata dell’efficienza, si muove una governance opaca, schiacciata da una politica locale sempre più invasiva, e una banca che fatica a tenere il passo con i cambiamenti del sistema finanziario.
La svolta arriva nel 2007 con l’acquisto di Antonveneta: un’operazione costosissima, oltre 9 miliardi di euro, realizzata senza una due diligence adeguata, interamente in contanti, proprio alla vigilia della crisi globale. Un azzardo che segna l’inizio del declino: Mps si indebolisce rapidamente, la Fondazione brucia miliardi nel tentativo di sostenere la banca, e Siena perde — nel giro di pochi anni — sia la leva finanziaria che il controllo sul suo attore principale.
Parlangeli non riduce tutto alla crisi economica del 2008. La sua analisi mette a fuoco una crisi più ampia, di classe dirigente, di visione strategica, di mancato adattamento. Il Monte è rimasto bloccato tra due modelli: troppo grande per essere solo banca locale, troppo piccolo per competere coi colossi europei. E la città, allo stesso modo, è rimasta sospesa tra l’orgoglio del proprio passato e la difficoltà di reinventarsi.
Il crollo del Monte ha colpito Siena al cuore, ma non può spiegare da solo lo smarrimento della città. La fragilità era già dentro il sistema: una dipendenza eccessiva da un unico attore, la mancanza di politiche industriali e urbane autonome, una certa chiusura autoreferenziale.
Oggi Siena è chiamata a pensarsi oltre il Monte. A ritrovare il filo della propria identità senza più affidarsi a rendite di posizione. Il libro di Parlangeli non è solo una cronaca del passato: è un monito. Perché anche i modelli che sembrano più stabili possono crollare, se non si ha il coraggio di rinnovarli. E una comunità può sopravvivere solo se sa distribuire il potere, aprire i luoghi della decisione, fare i conti con le proprie illusioni.