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Scende dall’elicottero tra i riflessi metallici del porto di Ancona e le quinte ormai sbiadite del G7. Giorgia Meloni arriva nelle Marche con il tono della premier, ma l’impostazione del comizio. L’occasione è una “conferenza istituzionale”, ma il messaggio è chiaramente politico: a pochi mesi dal voto regionale, e con il governatore uscente Francesco Acquaroli (FdI) tallonato dal candidato dem Matteo Ricci, la presidente del Consiglio offre un assist pesante. Le Marche e l’Umbria saranno incluse nella ZES unica, la Zona Economica Speciale che prevede incentivi fiscali e agevolazioni per le imprese. L’annuncio verrà formalizzato in Consiglio dei Ministri, ma il suo peso simbolico è già pienamente operativo.
Non è solo una misura economica. È un segnale elettorale chiaro, indirizzato a un territorio governato da Fratelli d’Italia e cruciale per gli equilibri politici del centrodestra. A testimoniarlo è l’intera messa in scena: il palco allestito nella Mole vanvitelliana, la scaletta studiata nei dettagli, le presenze coordinate. Anche l’aneddotica si piega al racconto: Tajani, ministro degli Esteri, elogia Leopardi e si lascia sfuggire l’annuncio della ZES prima della premier, tra un vassoio di dolcetti regalati dal presidente tunisino Saied e l’evocazione dei suoi trascorsi da eurocandidato in zona.
Poco importa. Il messaggio passa. Le ZES diventano così una leva per rafforzare Acquaroli, tra il plauso degli imprenditori locali e il malumore dell’opposizione. Italia Viva solleva il caso dei voli di Stato: “Con quale mezzo sono andati da Roma ad Ancona Meloni e Tajani? Con spese pubbliche o di partito? Insieme o separati?”. Europa Verde attacca: “Campagna elettorale con gli elicotteri, mentre negli ospedali mancano i letti”. Il Pd parla di “Meloni come Wanna Marchi”, mentre il Movimento 5 Stelle accusa il governo di trasformare la ZES in una “mancia elettorale”.
Ma il tour non si ferma ad Ancona. Dopo l’intervento ufficiale, Meloni vola a Cessapalombo, in provincia di Macerata, per visitare il cantiere della Pedemontana: un tracciato di appena 1,7 km, ma finanziato con oltre 21 milioni di euro. Un’opera utile, certo, ma che viene presentata con toni enfatici, come se ogni galleria o viadotto fossero simboli assoluti dell’efficienza governativa.
La Toscana resta al palo
In tutto questo, una domanda s’impone: dov’è la Toscana?
Regione con una solida tradizione industriale, con aree interne in difficoltà, territori colpiti da calamità naturali, distretti produttivi che attendono sostegno. Eppure nessuna misura annunciata, nessun elicottero in vista, nessuna tappa istituzionale.
La Toscana sembra uscita dal radar del governo. Mentre nelle Marche si moltiplicano promesse, cantieri e attenzioni mediatiche, qui resta il silenzio. Eppure anche nel sud della Regione, nei territori montani dell’Amiata, nella Val di Paglia, nel Valdarno o nel Casentino, le imprese faticano, i giovani lasciano, le infrastrutture attendono. Sono aree con potenzialità enormi, ma che rischiano l’abbandono proprio a causa dell’assenza di politiche strutturali.
Se le ZES devono essere uno strumento di riequilibrio territoriale, non possono diventare un premio elettorale. Non si può usare la leva fiscale per disegnare geografie del consenso. La Toscana ha diritto a pari dignità, a investimenti proporzionati, a una visione strategica che non sia condizionata dal calendario elettorale.
E allora la questione è più ampia: vogliamo uno Stato che pianifica o uno Stato che fa propaganda?
La scelta di escludere alcune regioni dalle misure più ambiziose – e di concentrarsi su quelle politicamente “interessanti” – rischia di minare la coesione nazionale e di rafforzare il divario tra territori favoriti e territori dimenticati.
Il governo continua a raccontare di un’Italia che si rialza. Ma per rialzarsi davvero, l’Italia ha bisogno di politiche pubbliche coerenti, non di passerelle estive.
E la Toscana, con le sue competenze, il suo lavoro silenzioso e la sua capacità di innovazione, non può restare fuori da questa partita.