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A quattro giorni dal vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin, in programma in Alaska, il fronte diplomatico tra Russia e Unione Europea si infiamma. Il casus belli è una dichiarazione congiunta sottoscritta dai leader di Italia, Francia, Germania, Polonia, Finlandia e dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: un testo che riafferma il sostegno all’integrità territoriale dell’Ucraina e promette nuove misure restrittive per “fare pressione su Mosca”.
Da Mosca la risposta è arrivata senza filtri. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri, ha liquidato il documento come “un volantino nazista” e accusato Bruxelles di portare avanti una guerra per procura. La pace, sostiene, non si costruisce con sanzioni o aiuti militari, ma interrompendo le forniture di armi a Kiev. Il legame fra l’amministrazione ucraina e le istituzioni europee, nelle sue parole, è “necrofilia politica”: una passione tossica che ignora la realtà e prolunga il conflitto.
Ancora più tagliente è stato Dmitrij Medvedev. L’ex presidente, oggi vicesegretario del Consiglio di Sicurezza, ha definito i leader europei “imbecilli” impegnati a frenare i tentativi americani di mediazione. Zelensky e il suo governo, ribattezzato “regime banderita”, sarebbero a suo dire agli ultimi spasmi, incapaci di cambiare il corso della guerra anche con l’arrivo di nuove armi.
Il coro di attacchi è proseguito. Leonid Slutskij, presidente della Commissione Esteri della Duma, ha bollato come “vuota” la retorica occidentale; il corrispondente di guerra Evgenij Poddubnyj ha pronosticato una raffica di “dichiarazioni isteriche” da qui al vertice; Aleksandr Kots, di Komsomolskaja Pravda, ha ironizzato sul “trambusto” in atto a Bruxelles e Kiev, insinuando il timore diffuso di un’intesa diretta fra Mosca e Washington.
Per molti osservatori russi, è proprio questo l’obiettivo del Cremlino: ridurre l’incontro in Alaska a un negoziato bilaterale con gli Stati Uniti, escludendo di fatto l’Unione Europea e relegando Kiev al ruolo di spettatore. Una strategia che punta a liberarsi della mediazione europea, ritenuta un intralcio, e a trattare da pari con Washington.
L’Europa, dal canto suo, respinge l’ipotesi di essere messa da parte. Ribadisce che nessun accordo di pace può prescindere dalla partecipazione ucraina e difende l’idea di un processo multilaterale. Ma l’impressione, a poche ore dall’appuntamento, è che la partita si giochi su un terreno che sfugge al controllo europeo: un tavolo ristretto, dominato da due capitali, mentre intorno cresce un fuoco di parole che sa già di resa dei conti diplomatica.