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Nel giro di pochi giorni, Vladimir Putin ha cambiato radicalmente registro. Dopo la trasferta in Alaska, segnata da sorrisi e segnali di possibile apertura con gli Stati Uniti, il leader del Cremlino è volato a Sarov, città chiusa al pubblico e centro nevralgico del programma nucleare russo. Qui, tra generali e scienziati, ha reso omaggio ai padri della bomba sovietica e si è fatto aggiornare sul missile sperimentale Burevestnik, simbolo della forza atomica russa.
La scena non è stata casuale: un album di pelle nera con inciso lo slogan “L’orso non cederà a nessuno la sua taigà” gli è stato consegnato come omaggio. Il messaggio è chiaro: nessuna trattativa sui territori occupati in Ucraina, che Putin considera intoccabili.
Mentre a Mosca si inscenava questo rituale, dall’altra parte dell’Atlantico il presidente americano ha concesso due settimane alla diplomazia, prima di stabilire di chi sia la responsabilità di un mancato accordo. Una finestra temporale breve, che lascia i protagonisti a muoversi in equilibrio precario: nessuno dice esplicitamente “no” al negoziato, ma neppure si intravedono aperture concrete.
Putin, per ora, si limita a lasciare parlare il suo ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, che ha escluso la possibilità di un incontro diretto con Zelensky. Una mossa che consente al Cremlino di mantenere margini di manovra, mostrando rigidità senza chiudere del tutto la porta. La visita a Sarov serve anche a rassicurare i falchi interni, allarmati dai segnali di disgelo circolati dopo il vertice in Alaska.
Secondo alcuni analisti, la mossa russa è soprattutto tattica: un modo per prendere tempo, limitare la pressione delle sanzioni e portare avanti l’offensiva estiva nel Donbas. Resta da capire se ci sia la ricerca di una via d’uscita o soltanto il tentativo di mascherare un conflitto che il Cremlino non intende interrompere.
Il vero nodo è la posizione americana. Se Trump decidesse che la guerra in Ucraina “non riguarda gli Stati Uniti”, Putin otterrebbe di fatto mano libera per continuare i bombardamenti. Ma il rischio, paradossalmente, sarebbe di perdere centralità agli occhi di Washington, che potrebbe spostare l’attenzione su altri dossier: energia, Artico, disarmo. Per restare un interlocutore credibile, Putin deve quindi accettare almeno di confrontarsi con Zelensky, condizione che Trump considera ormai indispensabile.
Cosa dicono gli osservatori internazionali
- Da Mosca, Putin parla di una “luce in fondo al tunnel” nei rapporti con gli Stati Uniti, elogiando la leadership del presidente americano.
- A Washington, cresce invece la frustrazione: Trump minaccia nuove sanzioni se entro due settimane non ci saranno progressi nei colloqui.
- Per gli esperti, il Cremlino oscilla tra due opzioni: cercare una strategia d’uscita o guadagnare tempo per consolidare i risultati sul campo.