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Benjamin Netanyahu ha legato la propria sopravvivenza politica a due figure della destra estrema: Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir. Smotrich, ministro delle Finanze con deleghe nella Difesa, guida l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania e considera la guerra a Gaza un’occasione per reinsediare coloni. Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, con un passato di incitamenti all’odio e condanne per razzismo, ha trasformato la polizia in strumento politico, reprimendo proteste interne e lasciando crescere la violenza nelle comunità arabe israeliane. Pur cercando di apparire come leader indipendente, Netanyahu dipende dal loro sostegno e legittima posizioni estremiste che logorano la reputazione internazionale di Israele.
Dal 7 ottobre 2023, data dell’attacco di Hamas che provocò 1.200 morti e 250 ostaggi in Israele, la risposta militare ha generato oltre 62.000 vittime palestinesi. Gaza vive oggi tra fame, malattie e distruzione. Le immagini della crisi umanitaria hanno incrinato il sostegno internazionale a Israele, spingendo anche i governi europei più vicini a Netanyahu a prendere le distanze.
In questo contesto è nata la Gaza Humanitarian Foundation, sostenuta da Washington e Tel Aviv, presentata come canale alternativo di aiuti. Guidata dal reverendo evangelico Johnnie Moore Jr., figura di spicco del sionismo cristiano statunitense, la fondazione ha sostituito in parte il ruolo delle agenzie ONU, centralizzando la distribuzione degli aiuti in aree militarizzate. La conseguenza è stata il moltiplicarsi di assalti ai convogli e nuove vittime civili. Le Nazioni Unite hanno chiesto la sospensione delle attività, denunciando una gestione politicizzata che trasforma l’assistenza in un’arma di pressione. Le dimissioni del primo direttore, che ha accusato la fondazione di violare i principi di neutralità, hanno rafforzato i dubbi internazionali.
Il ruolo di Moore Jr. conferma l’influenza del sionismo cristiano: movimento religioso che vede nel sostegno a Israele un dovere teologico, già decisivo nella scelta americana di riconoscere Gerusalemme come capitale sotto Trump. Questa visione si intreccia con l’agenda dell’ultradestra israeliana e si contrappone ad altre voci religiose, come quella della Chiesa cattolica, che rifiuta l’idea di un diritto biblico ai territori contesi.
Le relazioni internazionali si muovono ora su un terreno instabile. L’Unione Europea ha accusato Israele di utilizzare la fame come arma di guerra e ha imposto sanzioni mirate contro Smotrich e Ben-Gvir. Gli Stati Uniti, pur sostenendo Israele, vedono crescere le divisioni interne: parte del Congresso chiede lo stop ai finanziamenti alla Gaza Humanitarian Foundation, denunciata per aver aggravato la crisi. Le Nazioni Unite insistono per un ritorno al loro ruolo centrale nella gestione degli aiuti, mentre Paesi arabi e mediorientali ribadiscono la richiesta di una soluzione politica fondata sul riconoscimento di uno Stato palestinese.
L’intreccio tra calcolo politico di Netanyahu, radicalismo dei suoi alleati e sostegno ideologico del sionismo cristiano negli Stati Uniti alimenta una spirale di violenza che isola Israele e lascia Gaza intrappolata in una tragedia umanitaria senza prospettiva di soluzione.