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A Kingston, in Ontario, Margaret Atwood è tornata a parlare in pubblico durante la fiera letteraria che ha contribuito a fondare nel 2009. Attorno a lei, anche questa volta, non mancavano le figure simbolo delle proteste anti-Trump: le cuffiette bianche delle ancelle, rese celebri dal suo romanzo Il racconto dell’ancella. Da oltre quarant’anni i libri dell’autrice canadese accendono discussioni sui diritti delle donne, sull’ambiente e sulla giustizia sociale. Negli Stati Uniti, però, le sue opere sono diventate talmente scomode da essere state bandite in diverse scuole di Texas, Florida, Oregon e Utah.
Atwood non se ne scandalizza: “È un onore”, dice. Ma avverte che il vero pericolo oggi non riguarda solo le libertà civili. Se dovesse scrivere un libro sugli Stati Uniti del prossimo futuro, lo intitolerebbe al “genocidio dei poveri”. La scrittrice sostiene che, a differenza del passato in cui l’industria aveva bisogno di operai come consumatori, oggi i ceti privilegiati non vedono più la necessità di mantenere una vasta manodopera a basso costo. Così, tagliando servizi sanitari e previdenziali, condannano milioni di persone all’abbandono.
Secondo Atwood, l’attuale governo americano sta conducendo un “esperimento sociale darwinista”: chi è ricco e sano sopravvive, gli altri no. Paradossalmente, osserva, per alcune donne povere gli obblighi di una società oppressiva come Gilead garantirebbero più cibo e cure di quanto ottengono oggi.
Nonostante ciò, Atwood invita a non confondere un’amministrazione politica con un intero popolo: metà degli americani non condivide queste scelte, e molti sostenitori di Trump si sono già pentiti. Da canadese, teme piuttosto l’eccessiva dipendenza economica del suo Paese dagli Stati Uniti, che potrebbe trasformarsi in vulnerabilità.
Guardando più in generale alle istituzioni democratiche, l’autrice nota che ogni sistema passa da una fase di entusiasmo dei fondatori a una di abitudine e infine di indifferenza, che è il momento in cui rischia di crollare. È quello che sta accadendo oggi, in un contesto globale che le ricorda gli anni ’30 e ’40 del Novecento, tra crisi economiche, polarizzazione politica e ondate di nazionalismo.
Eppure, conclude, resta ottimista. Essere scrittori significa guardare avanti con fiducia, pur senza chiudere gli occhi davanti ai pericoli. Anche perché — ammette con ironia — finora non è mai stata perseguitata per ciò che ha scritto, ma forse attraversare la frontiera americana potrebbe diventare più difficile.