
Aree interne, il senso di un appello
28 Agosto 2025
Rod Stewart – Maggie May / Gasoline Alley
28 Agosto 2025La guerra che continua a consumarsi tra Palestina e Israele non è soltanto la somma di scontri armati o di contrapposizioni religiose. Alla sua radice si trovano tre forze strutturali che, intrecciandosi, alimentano la violenza e ne impediscono la risoluzione: un progetto coloniale mai compiuto, l’appoggio decisivo delle grandi potenze e una sistematica svalutazione della popolazione palestinese.
Fin dalla sua nascita, Israele ha cercato di affermarsi come stato fondato sull’insediamento. Non ha però mai raggiunto l’obiettivo di eliminare o assorbire del tutto chi già abitava quelle terre. I palestinesi non sono stati né sterminati né assimilati, non sono stati espulsi in massa e non hanno accettato una sottomissione permanente. Questo stallo ha prodotto un sistema di controllo che combina occupazione militare, colonie, prigioni, restrizioni di movimento e un’organizzazione giuridica che separa i diritti in base all’appartenenza etnica. È proprio l’impossibilità di completare quel progetto che mantiene viva la logica del conflitto e genera periodiche esplosioni di violenza.
A rendere possibile questa situazione è il contesto internazionale. Stati Uniti, Regno Unito e diversi paesi europei hanno scelto di sostenere Israele, fornendo armi, fondi e copertura politica. Negli stessi anni in cui hanno imposto sanzioni dure contro altre potenze accusate di violazioni del diritto internazionale, in questo caso hanno preferito la tolleranza o la neutralità di facciata. Questo doppio standard non è un dettaglio, ma una condizione che consente a Israele di continuare a espandere gli insediamenti e a gestire l’occupazione senza pagare costi politici insostenibili.
C’è poi un terzo elemento, meno visibile ma altrettanto decisivo: la disumanizzazione. I palestinesi sono stati per lungo tempo rappresentati come un problema di sicurezza, come una popolazione meno degna di protezione, come “meno umani” di altri. Questo processo di svalutazione rende accettabili pratiche che altrimenti sarebbero considerate intollerabili: città affamate sotto assedio, bombardamenti su aree densamente abitate, intere comunità private di acqua ed elettricità. La loro sofferenza è tollerata perché il loro valore viene percepito come inferiore.
Queste tre dinamiche non agiscono separatamente. L’insediamento incompiuto costruisce la struttura del dominio; il sostegno delle potenze garantisce copertura politica e militare; la disumanizzazione normalizza il tutto agli occhi del mondo. Insieme formano un circuito che si autoalimenta, un meccanismo che non può essere spezzato da accordi di facciata o da soluzioni tecniche.
Guardare il conflitto in questa prospettiva significa capire che non siamo di fronte solo a dispute territoriali o a rivalità religiose. Siamo davanti a un sistema che si regge su rapporti di forza globali e su una persistente gerarchia di valore tra vite umane. Senza mettere in discussione queste basi, parlare di pace rischia di restare un esercizio retorico.