
The Shirelles – Will You Love Me Tomorrow
9 Settembre 2025
Il professore dice che il Covid ha “sdoganato” i vaccini a mRNA, ma nello stesso tempo sostiene che oggi quella ricerca è stata “praticamente bloccata”. Se davvero gli investimenti negli Stati Uniti sono stati tagliati, come può non avere conseguenze globali, compresa l’Italia? E come si concilia lo stop della ricerca con i fondi PNRR che a Siena avrebbero permesso di sviluppare test sui vaccini? Ancora: il problema è davvero lo “scetticismo di Trump, Vance e Kennedy”, o non è piuttosto un quadro più complesso, fatto di scelte delle aziende e di fiducia dell’opinione pubblica?
Da qui parte una sensazione che attraversa tutta l’intervista: quella di un racconto che non tiene insieme i pezzi. VisMederi è presentata come una potenza internazionale, ma si rivela fragile quando si affronta il tema dei rapporti con gli Stati Uniti e delle aperture estere ancora allo stato di annuncio. Montomoli rivendica di essere proprietario e decisore, salvo poi definirsi marginale e presente in azienda solo “qualche pomeriggio”. La politica viene ricordata come una ferita, ma non smette di riaffiorare, tra la tessera di Forza Italia e i richiami alla città che non sa “fare squadra”.
È un continuo oscillare: trionfo e vittimismo, ambizione e desiderio di tranquillità, centralità e marginalità. Una narrazione che sembra più costruita per autoprotezione che per chiarezza. E il punto non è solo la contraddizione tra parole e fatti, ma la questione più ampia della credibilità: quando un imprenditore accademico descrive la propria azienda come leader internazionale e, nello stesso tempo, la dipinge ostaggio di contingenze politiche americane, il messaggio che passa è di debolezza più che di forza. Quando afferma di rappresentare la proprietà e poi si definisce marginale, non si tratta solo di un dettaglio biografico: è un segnale di incertezza sulla stessa governance dell’impresa.
Lo stesso vale per la politica: viene raccontata come un’esperienza negativa, eppure resta sullo sfondo come un richiamo costante. L’evocazione di Siena come città che non sa “fare squadra” sembra più un modo per spostare all’esterno una difficoltà che appare innanzitutto personale: quella di scegliere un ruolo chiaro e mantenerlo senza contraddirsi.
In questo senso, l’intervista non è tanto un bilancio quanto uno specchio. Mostra un personaggio che ha ottenuto successo e riconoscimenti, ma che non riesce a collocarsi in una narrazione coerente: imprenditore e accademico, protagonista e marginale, vittima e vincitore. Forse è proprio questo continuo pendolo a indebolire la percezione complessiva, restituendo l’immagine di un uomo che ha raggiunto traguardi significativi ma che oggi sembra soprattutto difendersi, più che indicare con chiarezza una direzione.