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Venticinque anni dopo, l’OPA su Mediobanca rischia di cancellarne l’eredità
Venticinque anni fa moriva Enrico Cuccia, “il padrone dei padroni”, fondatore e anima di Mediobanca, l’istituto che per mezzo secolo ha tenuto insieme le grandi famiglie dell’industria italiana nel celebre “salotto buono” della finanza. Oggi quel salotto rischia di chiudere per sempre: l’OPA di Monte dei Paschi, guidata da Luigi Lovaglio e sostenuta dai “barbari” Caltagirone e Milleri, ha superato il 60% del capitale e punta al 66% per procedere a fusione. È la fine di un’epoca, e – nonostante i limiti di Mediobanca – credo sia stato un errore lasciar sparire questa istituzione.
Cuccia era un uomo di riti e sobrietà: senza patente, ogni giorno andava a piedi dalla casa di via Mascagni fino a piazzetta Bossi (oggi piazzetta Cuccia) dopo la messa mattutina. Entrava in un mondo fatto di moquette rossa da non calpestare, ascensori da prendere per evitare incontri imbarazzanti sulle scale, telefoni con tasti volutamente guasti e una cultura della riservatezza portata all’estremo. La sua leggendaria segretaria Giancarla Vollaro, già spia degli Alleati, sapeva trasformare ogni risposta in una domanda per sviare i curiosi.
Le massime di Cuccia sono diventate proverbiali: “Le azioni non si contano, si pesano”, “Rubare è peccato veniale, parlare è mortale”. Sotto la sua regia, Mediobanca gestì le grandi partite finanziarie del dopoguerra: Montedison, Olivetti, Pirelli, la Supergemina, Bi-Invest. Spesso le decisioni cruciali maturavano ad agosto, mentre tutti erano in vacanza. L’assemblea degli azionisti si teneva il 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma, per sottolineare che “quel giorno noi lavoriamo”.
Cuccia morì nel 2000, benefattore del centro cardiologico Monzino. Lasciò ai figli un patrimonio modesto rispetto alle cifre di oggi; il suo successore Maranghi rifiutò il TFR. Era una finanza sobria, con auto italiane (Lancia Thema, Alfa 164) e pranzi a casa, niente vacanze esotiche, e un caffè al Sant’Ambroeus come unica concessione.
Perché è un errore di sistema “far sparire” Mediobanca?
- Perdita di pluralismo finanziario – Mediobanca è stata l’unico vero merchant bank italiano. Integrarla in una banca retail significa omologare funzioni diverse e ridurre la capacità di mediazione paziente tra industria e capitale.
- Fuga di talenti e clienti – L’advisory e il private banking vivono di indipendenza. Senza autonomia, i banker migliori e le famiglie clienti potrebbero spostarsi verso case estere, impoverendo l’ecosistema domestico.
- Governance di Generali e dei grandi asset – Mediobanca ha storicamente stabilizzato il perimetro assicurativo. Dentro MPS e sotto azionisti “militanti” si rischia di politicizzare e concentrare il controllo su Generali, con effetti di sistema.
- Rischio di esecuzione – S&P ha messo il rating di Mediobanca in CreditWatch negativo: se l’integrazione non è gestita bene, si distrugge valore anziché crearlo.
- Sinergie limitate – Lo stesso management ha riconosciuto che le basi clienti e i mestieri si incastrano poco: è un’operazione “di sistema”, non naturale, e senza ring-fence culturale il razionale industriale si indebolisce.
Si poteva fare altro: mantenere Mediobanca quotata e autonoma, con governance vigilata; condividere piattaforme IT e funding, ma preservando l’identità e i processi decisionali; blindare i talenti con forti retention plan.
Se la fusione con MPS è solo la scorciatoia per il controllo di Generali, allora è un’operazione di potere, non di sistema. E la memoria di Cuccia rischia di diventare pura toponomastica.