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La giornata internazionale è dominata da tre fronti caldi: guerra in Ucraina, crisi energetica e tensione in Medio Oriente.
In Ucraina, l’offensiva con droni sta colpendo in profondità le infrastrutture energetiche russe: la maxi-raffineria di Kirishi, una delle più grandi della Russia europea, è stata danneggiata, insieme a depositi e linee ferroviarie di rifornimento. Kiev punta a logorare la capacità offensiva di Mosca, colpendo logistica e carburante. Questa strategia, seppur rischiosa per l’escalation, ha un chiaro obiettivo politico: spingere la Russia al tavolo negoziale da una posizione di debolezza. La reazione del Cremlino è stata durissima, ma i mercati hanno risposto con un rialzo moderato del prezzo del petrolio, segno che gli investitori cominciano a scontare un conflitto lungo, ma gestibile.
La NATO osserva con attenzione. Polonia e Romania chiedono di rafforzare le difese anti-drone e di accelerare il coordinamento strategico. Si consolida così un asse Est-Europa sempre più influente, che spinge l’Alleanza verso una postura più assertiva. Per l’Italia e l’UE si apre un dilemma: come mantenere una linea di sostegno all’Ucraina, senza farsi trascinare in una spirale di escalation militare?
Sul fronte mediorientale, Gaza resta teatro di bombardamenti israeliani, mentre gli USA tentano una mediazione complessa con Qatar e altri attori regionali per contenere Hamas e prevenire un allargamento del conflitto. La crisi umanitaria resta drammatica, con oltre un milione di sfollati. Per un’Europa progressista e laica, la priorità dovrebbe essere il diritto internazionale: protezione dei civili, cessate il fuoco negoziato e rilancio di una soluzione politica, non la normalizzazione di una guerra permanente.
Il filo rosso che unisce queste crisi è l’energia: gas e petrolio usati come strumenti di pressione geopolitica, mercati volatili e transizione ecologica rallentata. Questa è la sfida del presente: costruire sicurezza energetica non solo con più forniture, ma accelerando l’autonomia tecnologica e rinnovabile dell’Europa. Non basta diversificare i fornitori, occorre ridurre la dipendenza complessiva dalle fonti fossili che finanziano conflitti e regimi autoritari.
Il mondo del 2025 è multipolare e instabile: i progressisti dovrebbero puntare a un equilibrio nuovo, in cui la difesa non diventi militarizzazione cieca e la stabilità non si paghi con democrazia e diritti.