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La conquista del 62,3 % del capitale di Mediobanca da parte di Monte dei Paschi di Siena segna un passaggio cruciale per la storica banca d’affari milanese. Non si tratta solo di un’operazione finanziaria: è in gioco il futuro stesso di Mediobanca, il suo grado di autonomia, la tenuta del modello di business e persino la sua cultura aziendale.
Finché la partecipazione di MPS resterà sotto l’80 %, Mediobanca conserverà una certa indipendenza formale. Ma la stessa assemblea dei soci ha riconosciuto che, una volta superata quella soglia, la fusione operativa diventerà inevitabile, con un nuovo consiglio di amministrazione, l’uscita del CEO Alberto Nagel e l’allineamento delle strategie alla capogruppo.
Il nodo più delicato è la protezione del modello Mediobanca, costruito negli anni sul wealth management e sull’investment banking. Sono aree ad alta specializzazione, che hanno reso l’istituto un unicum nel panorama italiano. L’integrazione con una banca commerciale come MPS apre interrogativi sul loro futuro: ci sarà libertà di azione per continuare a crescere? Oppure prevarrà la logica dell’omologazione, con il rischio di perdere clienti e talenti? Lo stesso Nagel ha avvertito che un’integrazione troppo spinta potrebbe comportare una perdita di ricavi e una diluizione del marchio, penalizzando la redditività e la valutazione di mercato.
L’operazione è anche un incontro fra due culture aziendali diverse. Mediobanca ha sempre mantenuto un approccio “boutique”, selettivo, vicino ai grandi clienti e attento all’innovazione finanziaria. MPS è una banca popolare per vocazione, con una rete diffusa e una clientela retail. Fondere queste identità sarà una sfida complessa, e la gestione del capitale umano diventa cruciale per evitare fratture e dispersione di competenze.
Clienti e dipendenti osservano con attenzione. Ogni grande fusione porta con sé timori di riorganizzazioni, perdita di posti di lavoro, standardizzazione dei servizi. MPS ha assicurato di voler tutelare la clientela e minimizzare gli impatti occupazionali, ma l’esperienza insegna che le razionalizzazioni sono difficili da evitare, soprattutto nelle funzioni di back office e nei ruoli sovrapposti.
A sorvegliare il processo c’è la BCE, che ha autorizzato l’operazione ma pretende piani chiari su capitale, governance, gestione dei rischi e cybersecurity. La vigilanza sarà serrata, e non solo per proteggere la stabilità del nuovo gruppo, ma anche per verificare che il controllo sia esercitato in modo trasparente e sostenibile.
L’esito di questa integrazione avrà un peso per l’intero sistema bancario italiano. Se il progetto riuscirà a combinare la rete commerciale di MPS con il know-how specialistico di Mediobanca, potrà nascere un polo competitivo a livello europeo. Se invece prevarrà la pura logica di razionalizzazione, il rischio è di perdere un attore unico dell’ecosistema finanziario italiano, sacrificando sull’altare dell’efficienza una tradizione che ha contribuito a sostenere l’industria e la finanza del Paese.