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Il festival dell’ambizione
Una sventagliata di film in cerca di un festival. Una ricca sventagliata, precisiamo: la suscettibilità dei cinematografari è altissima. Ma si ha l’impressione che in questi suoi primi 20 anni la Festa di Roma non abbia ancora trovato una precisa fisionomia. Concorso, niente concorso, prevalenza del cinema parlato con una serie di incontri spesso più interessanti dei film da vedere nella sala accanto dell’Auditorium, direttori che cambiano, qualcuno che se ne va dopo essere stato accolto come il salvatore della festa, festival diffuso in tutta Roma (resta famosa l’esibizione di Leonardo DiCaprio, sotto lo sguardo benevolo di Walter Veltroni e Goffredo Bettini), e l’intenzione di oscurare la Mostra di Venezia).
Per carità, è legittimo vantare la propria creatura. Ma sperare nelle “magnifiche sorti e progressive” di una manifestazione che inizia a metà ottobre – poco più di un mese dopo la Mostra di Venezia – appare a chi si occupa di cinema perlomeno temerario. Dopo 20 anni, i problemi restano, anche se il pubblico – dicono – ha imparato la strada per l’Auditorium, nei primi anni nessun amico romano saliva volentieri fin lassù.
Dall’anno scorso, Salvatore Nastasi è presidente della Fondazione Cinema per Roma che organizza la festa, dal 15 ottobre al 26. Presidente della giuria Paola Cortellesi: il suo primo film da regista – “C’è ancora domani” – spiccò da qui il volo verso il gran successo di critica e di pubblico. Da anni fa coppia artistica con il marito Riccardo Milani, che apre l’edizione di quest’anno con “La vita va così”: pastore sardo che non intende vendere la sua terra agli speculatori. Nel cast, Virginia Raffaele e Diego Abatantuono.
Ieri, durante la conferenza stampa, la direttrice artistica Paola Malanga ha illustrato il programma, nelle varie sezioni e premi (quest’anno ce n’è uno in più, per i documentari). I film del concorso dovrebbero lanciare nuovi registi e attori, tra i quali spicca il nome di Andrea De Sica, con “Gli occhi degli altri”. La trama prende spunto dal delitto Casati Stampa, fine anni 70: marito che uccide la consorte e il di lei giovane amante, poi si suicida.
Nella sezione Grand Public – dedicata ai titoli che potranno avere successo nelle sale – c’è Monica Guerritore in “Anna”, da lei medesima diretto. Si intende Anna Magnani, ovvio: non c’è attrice italiana, a vari livelli di bravura e leggiadria, che non abbia dichiarato: “E’ il mio modello”. La sceneggiatrice Ludovica Rampoldi debutta dietro la macchina da presa con “Breve storia d’amore”. Alla creatura di “Frankenstein” – inteso come il bellissimo film di Guillermo del Toro”, era alla Mostra di Venezia, nei cinema dal 22 ottobre e a novembre su Netflix – la Festa di Roma risponde con “Dracula” di Luc Besson. I mostri secolari sempre affascinano.
DUSEdi
Pietro Marcello, con Valeria Bruni Tedeschi e ALPHA di Julia Ducournau, con Golshifteh Farahani
Recensione
collettiva dei due film d’Autore – alla maiuscola tengono molto, e anche a rientrare nella categoria che, come si diceva una volta, “non concede nulla al gusto del pubblico”. Senza i paraocchi della critica paludata, la formula indica film che si guardano con molta fatica. “Alpha” ancora più di “Duse”, che racconta gli ultimi anni della celebre attrice teatrale decisa a tornare di nuovo sulle scene, se serve anche con l’aiuto di Benito Mussolini (ormai presenza quasi fissa nei film italiani impegnati “all’indietro”). Almeno c’è Valeria Bruni Tedeschi, fuori parte ma non per colpa sua. Troppo moderna e concitata per la parte di un’attrice che secondo Cechov si faceva capire anche da chi non sapeva l’italiano (lo scrittore la vide nella “Cleopatra” di Shakespeare, e gli sembrò di afferrare ogni parola). Ma Pietro Marcello è stato subito acclamato come Grande Autore Intoccabile, anche dopo il film su Pulcinella e le bufale, per non parlare del disastroso “Martin Eden”, scempio del capolavoro di Jack London. Julia Ducournau ha vinto nel 2021 a Cannes la Palma d’oro per “Titane” – il presidente dalla giuria Spike Lee aveva apprezzato la scena di sesso con la Cadillac – quindi sente di poter sbrigliare la fantasia. “Alpha” racconta gli anni 80 e l’AIDS – almeno così pare. Una tredicenne torna a casa dopo una festa con una A tatuata sul braccio. La madre teme sia stata contagiata da una malattia del sangue che “pietrifica” i corpi.
JANE AUSTEN HA STRAVOLTO LA MIA VITA
di Laura Piani, con Camille Rutherford, Pablo Pauly
E’ di nuovo il momento di Jane Austen, vien da dire. Oltre al film, c’è in libreria “Un anno con Jane Austen”, raccolta di brani tratti dai romanzi di Miss Jane, scelti e annotati da Liliana Rampello (curatrice anche dei due Meridiani Mondadori dedicati alla scrittrice). Se non fosse che il momento di Jane Austen, da un po’ di anni a questa parte, non è mai tramontato. Basta il suo nome per attirare lettrici e spettatrici. Purtroppo anche scrittrici, convinte che aver sospirato per uno che non ti guarda e ti tratta male sia il segno sicuro del grande amore. Che un corteggiamento così tiepido da non farsi quasi notare indichi con precisione la grande passione che verrà. Che le single di tutto il mondo troveranno a breve la loro ghiotta occasione. Funziona così, la letteratura è ormai un manuale di istruzioni. Altri delitti si commettono, usando Jane Austen come alibi. “Jane Austen mi ha stravolto la vita” è una commedia sentimentale scritta e girata con diligenza. Ma l’eroina aspirante scrittrice, che per ora fa la commessa alla libreria Shakespeare and Company di Parigi, è davvero troppo goffa per credersi Elizabeth Bennet. E’ convinta di aver sbagliato secolo. Quando l’amico del cuore – che pratica il “breadcrumbing”, una briciola a ogni fanciulla, che poi molla senza impegnarsi – fa domanda al posto suo per due settimane da passare alla Jane Austen Residence, l’avventura britannica comincia. Con il pro-pro-propronipote della scrittrice.
THE LIFE OF CHUCK
di Mike Flanagan, con Tom Hiddleston, Chiwetel Ejiofor, Karen Gillan, Mia Sara
Una
postura di accoglienza e apertura”, invoca un giovanotto che gioca a fare il critico (lo trovate su Instagram, all’account “felici pochi”). Poi attacca con la poesia, pronunciandola con la P maiuscola, e la capacità di riconoscerla. Invoca Walt Whitman, citato nel film di Mike Flanagan – che aveva già adattato storie del sommo Stephen King nel “Gioco di Gerald” e in “The Sleep” – con la frase “Sono vasto, contengo moltitudini”. Lo racconta come un gigante, alla ricerca della poesia assoluta. Forse voleva dire “l’assoluto della poesia”: sono tempi incerti, la lingua frana. Il grande Walt Whitman viene evocato in “Life of Chuck”, ma ci starebbe benissimo anche il celebre verso di T. S. Eliot che chiude “The Hollow Men” – sarebbe “gli uomini vuoti”, ma purtroppo fa più predicozzo che poesia. Eccolo: “Il mondo non finirà con uno schianto ma con un piagnisteo”. Prima però c’è un black out che pare totale, mentre la faccia di Chuck appare a tutte le finestre, nella luce azzurrina della televisione. Prima lo abbiamo visto su un grande manifesto pubblicitario, festeggiato per un compleanno. E lo abbiamo visto in una fantastica sequenza di danza improvvisata per strada. Stephen King stavolta non è (tanto) horror: è comunque una fantasia sulla fine del mondo che sta per arrivare. Scrive Wired: “Ai cinici il film sembrerà sdolcinato e sentimentale. Gli altri lo troveranno commovente, emozionante e ricco di significati”. A voi la scelta.
SOTTO LE NUVOLE
documentario di Gianfranco Rosi
Tre
anni di lavoro dichiarati per un documentario sul Vesuvio, sia pure di regista-artista che fa circolare “la prima foto di Gianfranco Rosi mentre riprende Napoli per il film” – pausa per l’applauso – paiono francamente un’esagerazione. Vediamo il regista su una collinetta, minuscolo di fronte all’immensità. Il Golfo con il Vesuvio sullo sfondo, qualche pecora in primo piano, un richiamo alla posizione del pittore settecentesco con la macchina da presa poggiata sul cavalletto. Oppure al fotografo d’altri tempi, con la mantellina nera e l’occhio all’obiettivo. Si capisce che il Leone d’oro veneziano per “Sacro GRA”, nel 2013, gli ha dato un pochino alla testa – a chi non farebbe questo effetto, le ricerche sono state curate da uno studio di architettura. “Sotto le nuvole” ha personaggi più curiosi e situazioni più interessanti, almeno dal punto di vista delle immagini (sempre in bianco e nero, per togliere il realismo e accrescere il poetico). Per esempio la nave carica di grano arrivata dall’Ucraina. Servono giorni per svuotarla, alle fine i marinai stanchi scenderanno a terra per un giorno di pausa. C’è il libraio che tiene gli studenti per il doposcuola, così studiano e non si smarriscono per strada. C’è la circumvesuviana che fa il suo percorso. Ci sono i vigili del fuoco che ricevono le chiamate, quasi tutti vogliono informazioni sullo scisma sismico. C’è la direttrice del Museo che fa entrare lo spettatore nei depositi. Film da esportazione, un po’ di ritmo in più avrebbe giovato.