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Il nuovo film di Paul Thomas Anderson, One Battle After Another, porta sullo schermo il romanzo Vineland di Thomas Pynchon, ma lo proietta nel cuore del presente. Non siamo più negli anni di Reagan: l’azione si svolge in un’America che assomiglia fin troppo a quella dei giorni nostri, segnata dal ritorno di Donald Trump e da un clima politico che ha riacceso vecchie paure. Anderson sembra voler dire che le dinamiche di potere, repressione e divisione che Pynchon raccontava negli anni Ottanta non sono mai scomparse: si sono solo trasformate, diventando ancora più feroci.
Il film racconta la storia di Bob, interpretato da Leonardo DiCaprio, un ex militante che ha passato la giovinezza a combattere contro il sistema, e che oggi vive abbrutito, schiacciato dal peso del fallimento e di troppe sconfitte. La sua memoria è confusa, la sua rabbia smorzata: il momento in cui non riesce a ricordare la parola d’ordine che doveva guidare il gruppo “French 75” è insieme comico e disperato, il simbolo di un’intera generazione che ha perso i propri riferimenti. Anderson alterna scene di azione a momenti surreali, quasi astratti, per restituire l’idea di un Paese che non ha più un centro, che gira a vuoto, come se la logica stessa fosse venuta meno.
Nelle prime sequenze il gruppo di Bob libera immigrati da campi di detenzione, compie rapine e attacchi simbolici al consumismo. È una ribellione che riecheggia le lotte per i diritti civili ma che sembra destinata a spegnersi: Perfidia, la leader afroamericana, viene arrestata e convinta a collaborare, e la comunità rivoluzionaria si dissolve. Bob fugge con la figlia neonata, unica speranza che resta di quel sogno infranto. Quindici anni dopo, però, la minaccia torna: il colonnello Lockjaw, interpretato da Sean Penn, per essere ammesso in un gruppo suprematista bianco deve cancellare il proprio passato con Perfidia e decide di eliminare sia Bob sia la ragazza, ormai cresciuta. Ne nasce un intreccio di inseguimenti, alleanze inattese e momenti di pura follia visiva, in cui la fotografia su pellicola VistaVision e la musica di Johnny Greenwood fanno più della trama per dare coerenza al racconto.
Anderson non costruisce un thriller politico tradizionale, ma un mosaico che rispecchia lo spaesamento di un’America che non riesce a ritrovare la propria bussola. È un film che parla di suprematismo, di xenofobia, di repressione, ma anche di paternità, di affetti e di fragilità. Il regista sembra suggerire che non siamo davanti alla fine di un sogno, ma al suo fallimento: le promesse di cambiamento si sono consumate e ora resta solo la fatica di sopravvivere, di trovare un nuovo senso. Alla fine resta l’immagine di un Paese che tenta di risolvere tutto con la forza, con l’arroganza, ma che non trova una via d’uscita. One Battle After Another è un ritratto crudele e necessario: un avvertimento, più che una consolazione, su quello che accade quando un’intera generazione smette di credere che le cose possano davvero cambiare.