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26 Settembre 2025
Mr. Tambourine Man
26 Settembre 2025Gaza, Israele e l’antisemitismo che ritorna: il pericolo di dare nomi sbagliati alle cose
Marek Halter, in occasione di Rosh HaShanah, riflette sulla speranza ebraica di un mondo più giusto e sulla ricorrenza ciclica dell’odio verso gli ebrei. Ricorda come Stefan Zweig, già nel 1932, avesse denunciato l’impotenza morale di fronte all’ascesa dei violenti e la necessità di “megafoni” per far sentire la voce della pace – megafoni che però, ieri come oggi, amplificano soprattutto propaganda e incitazione all’odio.
Halter osserva che l’odio verso gli ebrei è il più immediato e “accessibile”, storicamente usato come sfogo collettivo. Ricorda la Notte dei Cristalli del 1938 come anticamera della Shoah e spiega la distinzione tra “massacro” e “genocidio”, che dipende dall’intenzionalità dello sterminio. Collega questo ragionamento al massacro del 7 ottobre 2023, il più grave contro gli ebrei dalla Seconda guerra mondiale: oltre 1.100 morti, migliaia di feriti e più di 250 ostaggi. Se fosse parte di un piano di annientamento degli ebrei di Israele – come alcuni documenti suggerirebbero – sarebbe genocidio, altrimenti rimane un massacro, pur atroce.
Critica il governo israeliano, guidato da suprematisti che credono di poter vincere il terrorismo con le bombe, causando sofferenza alla popolazione. La guerra, iniziata nel 2023, dura da oltre due anni. Halter sottolinea però che le manifestazioni pro-Gaza nel mondo non chiedono più la pace, come avveniva per il Vietnam, ma dipingono Israele stesso come il Male, trasformando un conflitto politico in un giudizio sull’intera identità di un popolo.
Denuncia la crescente esclusione di artisti, studiosi e studenti israeliani o ebrei da eventi culturali e scientifici, paragonando la loro stigmatizzazione a quella dei lebbrosi medievali. Ricorda che negli USA il 70% dei crimini d’odio è contro ebrei e che in Francia rappresentano il 57% delle aggressioni razziste pur essendo meno dell’1% della popolazione.
Halter nota l’assenza di manifestazioni di solidarietà per i milioni di israeliani che protestano ogni giorno contro la guerra, per la liberazione degli ostaggi e per la soluzione a due Stati prevista dagli Accordi di Oslo del 1993, oggi dimenticati da entrambe le parti.
Conclude che l’accusa agli ebrei di “genocidio” a Gaza toglie loro l’ultima protezione – il ricordo della Shoah – e rischia di trasformarli ancora una volta in capro espiatorio. Citando Camus, avverte che dare un nome sbagliato alle cose contribuisce all’infelicità del mondo, e che oggi la guerra di Gaza viene usata più per delegittimare l’esistenza stessa di Israele che per difendere davvero il popolo palestinese.