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Jean-Luc Marion, filosofo francese di formazione fenomenologica, sviluppa una concezione originale della filosofia come disciplina che interroga le domande stesse piuttosto che limitarsi alla ricerca di risposte. La sua tesi centrale è che “lo scettico dubita delle risposte, il filosofo dubita delle domande” – una formula che racchiude l’essenza del suo approccio metodologico. Marion racconta la sua scoperta della filosofia attraverso l’incontro con testi di Descartes, Kierkegaard e Marx, dove ciò che lo colpisce non è la chiarezza, ma proprio l’oscurità intelligente di questi autori – un’oscurità che si rivela più feconda delle “banalità” del senso comune. La filosofia diventa così “produzione di intelligibilità” attraverso concetti che, pur apparendo inizialmente inintelligibili, aprono nuove possibilità di comprensione.
La filosofia si configura come antidoto all’ideologia, intesa come sistema di risposte preconfezionate a domande mai veramente interrogate. Il vero filosofo non è colui che fornisce risposte, ma chi ha “il coraggio dell’aporia” – ovvero la capacità di sostare nelle difficoltà logiche apparentemente insolubili e di riformulare le domande quando queste si rivelano mal poste. Marion attribuisce un’importanza fondamentale allo studio della storia della filosofia, non come accumulo erudito ma come scuola di pensiero. I grandi filosofi (Aristotele, Descartes, Kant, Heidegger, Nietzsche) sono “grandi” perché non si accontentano delle loro prime intuizioni ma osano “cambiare paradigma” e riformulare radicalmente le loro domande.
La distinzione cruciale tra filosofia e scienze risiede nel loro rapporto con l’oggettività. Mentre le scienze costruiscono oggetti specifici attraverso metodi di controllo e calcolo, la filosofia pensa ciò che sfugge a ogni possibile costituzione oggettiva da parte dell’uomo. Marion introduce qui il concetto chiave di “inoggettivabile” – tutto ciò che nella nostra esperienza non può essere ridotto a oggetto di controllo: gli eventi, le decisioni fondamentali, la nascita, la morte. La sfida fenomenologica consiste nel mantenere il rigore descrittivo senza ridurre tutto alla logica matematico-scientifica. Marion, seguendo Husserl, propone un “concetto più largo del logos” che permetta di descrivere fenomeni non oggettivabili (come l’amore, l’evento, l’essere) senza cadere nell’irrazionalismo.
Per superare l’abisso nichilista aperto dalla questione dell’essere in Heidegger, Marion propone di risituare l’ontologia a partire dall’evento – ciò che accade senza causa, che resta imprevedibile e si eccettua dal possibile. La nostra esistenza è scandita da eventi incontrollabili che costituiscono “l’estrema realtà della nostra vita”. La conclusione dell’itinerario marioniano è che la filosofia deve insegnarci a rinunciare alla “volontà malata di controllo” caratteristica delle società tecnologiche contemporanee. Il compito filosofico diventa allora “pensare quello che si dà, ma che non si possiede” – un’apertura all’incostituibile che rappresenta l’ultimo orizzonte del pensiero. Dal punto di vista metodologico, Marion sottolinea l’importanza dello sforzo letterario in filosofia (contro la “lingua di legno” scientifica) e della lettura di testi “che non si comprendono” come esercizio di crescita intellettuale. La filosofia richiede un “cambiamento di alfabeto” rispetto al paradigma scientifico dominante.