Sottomarini, razzi, droni, missili, fregate, lanciarazzi, cacciabombardieri, carri armati, sistemi di difesa ma anche di attacco a media e lunga gittata per l’esercito. Sono solo alcuni dei programmi militari voluti, decisi, avviati e portati avanti dal governo di Giorgia Meloni.

Domani ha consultato tutti gli atti consegnati nel corso di questa legislatura in parlamento dal ministero della Difesa guidato da Guido Crosetto. Il numero è impressionante: sono ben 52. In media, è come se ogni 20 giorni (feste comprese) l’esecutivo abbia chiesto al parlamento di autorizzare un nuovo programma militare.

Tanto per dare un’idea: cercando nelle precedenti legislature è difficile trovare un ritmo così serrato. D’altronde il governo è stato chiaro: si farà di tutto per raggiungere la fatidica soglia del 2 per cento del Pil dedicato alle spese armate come richiesto ormai da anni dalla Nato. E in effetti, se si va a consultare ogni singolo atto, si scopre che i finanziamenti autorizzati per realizzare i vari tipi di armamento e portare avanti le varie fasi dei programmi raggiungono cifre inimmaginabili: secondo i calcoli di Domani parliamo di una cifra che supera, nel suo complesso, i 40 miliardi di euro.

Certo, in alcuni casi è stata ovviamente autorizzata solo una fase del singolo programma militare e si rimanda a successivi decreti per gli step successivi, ma è difficile pensare che un progetto iniziato venga poi abbandonato a metà dell’opera. È il caso, ad esempio, dei due sottomarini U212 NFS che verranno realizzati nei prossimi dieci anni.

La prima fase è stata già autorizzata per un valore stimato di 673 milioni; seguirà una seconda, con un secondo decreto da sottoporre nuovamente al parlamento per altri 659 milioni. In ogni caso, alla fine dei conti, spenderemo la bellezza di 1,3 miliardi di euro. Un bell’investimento per la nostra Marina militare, che potrà, nei prossimi anni, avere a disposizione anche due nuove fregate. Costo dell’operazione: altri 2 miliardi.

Caccia e corazzati

Ma questi non sono certamente i programmi militari più esosi autorizzati dal governo Meloni. Nel lungo elenco di atti e decreti spunta anche uno relativo al «processo di acquisizione di n. 24 velivoli F-2000 e al supporto tecnico-logistico dell’intera flotta». Parliamo, cioè, di caccia nuovi di zecca necessari perché sarebbe stata individuata «una vulnerabilità della capacità di Difesa Aerea nazionale e, dunque, Nato». Non a caso i nuovi Eurofighter, secondo quanto si legge nella scheda tecnica, hanno un assetto «che assicura H24 la difesa dello spazio aereo nazionale […] e contribuisce a quello Nato». La spesa, però, è tutta italiana e non è di poco conto: «L’onere previsionale complessivo dell’impresa […] è stimato in 7.477,3 milioni di euro». Quasi sette miliardi e mezzo nei prossimi undici anni, cui si aggiungono, tra le altre cose, altri 682 milioni solo per dotare di nuovi missili di ultima generazione altri caccia di cui disponiamo: i nostri F-35 ancora in attività.

C’è poi l’Esercito. L’intenzione, in questo caso, è rinnovare addirittura l’intera «componente corazzata dello strumento militare terrestre». Che il fine sia quello di attacco è chiaro leggendo la scheda tecnica, secondo cui l’obiettivo è «massimizzare le prestazioni in termini di protezione, letalità, potenza di fuoco e mobilità». Il programma stesso, d’altronde, nasce per andare incontro ai «nuovi requisiti della Nato, condizionati dai recenti sviluppi dello scenario internazionale». Ed è per questo che nei prossimi anni (fino al 2037) il nostro Paese potrebbe spendere qualcosa come 8 miliardi e 246 milioni di euro.

Il riarmo è già realtà

Insomma, al di là delle schermaglie politiche e degli scontri anche all’interno della maggioranza, sembrano poco credibili le dichiarazioni di esponenti della Lega che, a parole, dicono di volersi opporre al riarmo italiano. Innanzitutto perché nessun leghista, nel corso delle discussioni in Commissione Difesa alla Camera e al Senato, si è mai opposto ai 52 programmi militari di cui stiamo parlando. E in secondo luogo perché, a scorrere l’elenco di ciò che è stato effettivamente autorizzato, il riarmo è già realtà.

Uno dei programmi, ad esempio, riguarda l’approvvigionamento di «missili guidati con capacità loitering (la pericolosissima “munizione vagante”, ndr) a favore delle unità di artiglieria terrestre dell’Esercito» per un totale di 16 lanciatori e 8 posti di comando, per una spesa prevista di 342 milioni. Ci sono, poi, razzi e lanciarazzi, un programma la cui prima fase è stata avviata addirittura nel 2020, il cui costo «inizialmente stimato in 418,2 milioni di euro, è stato adeguato all’incremento dei costi di produzione del munizionamento ed alle rinnovate esigenze della Forza Armata, fino a complessivi 802,3 milioni». In pratica, il doppio. Ma non è tutto, perché all’esercito verranno consegnati nei prossimi anni anche cannoni semoventi «a favore delle unità di artiglieria terrestre»: soltanto la prima fase del programma ci costerà 202 milioni.

Una enorme lista della spesa, dunque. Che non graverà solo e soltanto sul bilancio della Difesa: una quota parte di alcuni programmi, infatti, risulta finanziata dal Fondo, gestito direttamente da Palazzo Chigi, «per il finanziamento di investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese». È così, ad esempio, per il rinnovamento dei «veicoli multiruolo» dell’Esercito o per l’adeguamento degli arsenali e degli stabilimenti di lavoro della Marina militare. Altri programmi, ancora, sono cofinanziati dal ministero del Made in Italy, guidato oggi da Adolfo Urso, come nel caso dei due sottomarini di cui abbiamo già parlato, per i quali risulta che la prima fase del programma attualmente in corso (673 milioni di 1,3 miliardi complessivi) sia, appunto, «finanziata a valere sugli stanziamenti derivanti dallo stato di previsione del Ministero del Made in Italy».