
Una strada tutta in salita
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Il progetto di integrazione tra Monte dei Paschi di Siena e Mediobanca, tanto atteso quanto discusso, sembra allontanarsi. Dopo l’offerta pubblica di scambio che ha portato Mps a diventare il principale azionista dell’istituto di Piazzetta Cuccia, l’entusiasmo iniziale ha lasciato spazio a una fase di prudenza. Il ceo Luigi Lovaglio ha dichiarato che è “troppo presto per parlare di una fusione”, sottolineando come le energie del gruppo siano ora interamente dedicate al completamento dell’operazione e alla complessa integrazione in corso. La parola d’ordine, almeno per ora, è cautela.
Dietro le dichiarazioni misurate si nasconde però una realtà più intricata. L’incontro fra due culture bancarie profondamente diverse — quella senese, radicata nel territorio e nelle relazioni tradizionali, e quella milanese, più finanziaria e internazionale — richiede tempo e una strategia che eviti contraccolpi interni. Lovaglio insiste sulla “velocità di esecuzione” come fattore decisivo, ma ogni accelerazione rischia di accentuare le tensioni tra modelli operativi e visioni differenti. Mps, che pure rivendica risultati positivi — finanziamenti in crescita, raccolta oltre i 170 miliardi, ritorno di fiducia dei clienti — sa bene che la partita si gioca sulla credibilità futura, non sui numeri di breve periodo.
Nel frattempo, Mediobanca resta un simbolo delicato, con un marchio che lo stesso Lovaglio definisce “sacro”. L’ipotesi che resti un’entità autonoma, concentrata su private e corporate banking, mentre Mps gestirebbe la parte retail, è la soluzione più probabile, ma anche la più interlocutoria. Significherebbe rinviare sine die una fusione vera e propria e mantenere in piedi due strutture parallele, con tutti i rischi di sovrapposizione e dispersione che questo comporta.
Sul fronte assicurativo, Generali osserva e si prepara. Mps è ora il primo azionista del Leone, e il gruppo triestino valuta una riorganizzazione interna con la possibile nomina di un direttore generale, figura assente da anni. È un segnale di rinnovamento ma anche di cautela, in un momento in cui la mappa del potere si ridisegna: Delfin e Caltagirone hanno rafforzato la loro presenza, e il ceo Philippe Donnet cerca un equilibrio che non apra nuovi fronti di conflitto. La scelta di un direttore generale, forse l’attuale responsabile assicurativo Giulio Terzariol, potrebbe rappresentare un passo verso una successione ordinata, ma anche un modo per consolidare le posizioni in vista di un futuro più instabile.
Nel complesso, il triangolo Mps–Mediobanca–Generali appare come un cantiere permanente. Si parla di sinergie, ma la sensazione è che ciascuno difenda il proprio spazio, il proprio marchio e le proprie reti di influenza. Le dichiarazioni di collaborazione non cancellano la realtà di un sistema finanziario italiano ancora dominato da equilibri personali e da rapporti di forza interni, più che da una visione industriale condivisa.
La fusione, insomma, non è dietro l’angolo. Mps continua a cercare peso e legittimità dopo anni di crisi, Mediobanca si muove con la consueta discrezione da potenza intermedia, Generali prova a non farsi travolgere dal risiko dei suoi azionisti. Ma senza una direzione comune, questo intreccio rischia di trasformarsi più in un esercizio di potere che in un vero progetto di sistema.