
David Gilmour – Comfortably Numb
10 Ottobre 2025
Ma non vi sembra che manchi qualcosa e, o qualcuno?
10 Ottobre 2025Il presidente della Fondazione Santa Maria della Scala, Cristiano Leone, ha annunciato con entusiasmo l’arrivo di 1,17 milioni di euro dal Ministero della Cultura. Parole solenni: “ribalta nazionale”, “segno tangibile”. Ma dietro gli annunci, la realtà è molto meno brillante.
Il complesso costa oltre tre milioni di euro l’anno e nel 2024 riceverà 4,38 milioni dal Comune. Il nuovo contributo copre appena quattro mesi di gestione ordinaria. Intanto i visitatori sono crollati da 365.000 nel 2014 a 90.000 nel 2024: un calo del 75%. Su 350.000 metri cubi, solo 13.000 metri quadrati sono accessibili al pubblico. Il resto è chiuso, in attesa di un progetto chiaro. E la gestione continua a cambiare: nuovi affidamenti, nuovi sistemi di bigliettazione, nuove direzioni. Lo ha ammesso lo stesso sindaco: “È difficile fare confronti per via dei continui cambi di gestione.”
Il confronto con altre città è impietoso. Modena ha ricevuto 30 milioni per l’ex Ospedale Estense, Napoli 27 per l’ex Ospedale Militare, Capodimonte 46 grazie a un piano pubblico-privato. Venezia incassa 30 milioni l’anno e accoglie oltre due milioni di visitatori. Gli Uffizi producono 35 milioni di ricavi e rinnovano costantemente spazi e collezioni. Il Santa Maria ottiene il 4% di Modena e meno del 3% di Capodimonte, pur essendo una struttura di pari rilievo storico e dimensionale.
L’annuncio dei fondi coincide con Xenos, festival di performance previsto dal 13 al 16 novembre, con artisti come Virgilio Sieni, Alice Mariani e Marta Ciappina, in collaborazione con la Chigiana e Siena Jazz. Tre giorni di qualità, ma il problema è ciò che accade negli altri 362. È la trappola dei festival: sostituire una programmazione stabile con eventi spettacolari ma effimeri. Per qualche giorno c’è vita, poi il silenzio. Xenos è un’iniziativa interessante, ma non una strategia. Un festival può attirare attenzione, non creare pubblico né sostenibilità. È come dare un’aspirina a chi ha una malattia cronica: allevia il sintomo, non la causa.
Con 90.000 visitatori l’anno, il Santa Maria è lontano dai grandi musei italiani. Non è solo questione di fondi: manca una programmazione continua che lo renda vivo ogni giorno. Un museo deve essere aperto, attivo, curioso; proporre mostre, laboratori, incontri, attività per famiglie e studenti, eventi serali. Deve entrare nella vita quotidiana dei cittadini e diventare tappa naturale per chi visita Siena.
Oggi, invece, il complesso è spesso semivuoto. In estate appare spento, non offre attività per i bambini, né spazi di studio o sperimentazione. È un gigante addormentato.
Ogni euro destinato a un festival è un euro in meno per manutenzione, personale stabile e riapertura di nuove sale. È come un ristorante che prepara una cena stellata una volta l’anno e resta chiuso gli altri 364 giorni. Anche le collaborazioni con istituzioni prestigiose – come la Chigiana o Siena Jazz – non bastano: sono loro a dare prestigio al Santa Maria, non il contrario.
I musei che funzionano davvero hanno tre tratti comuni: un piano pluriennale con investimenti tra i 20 e i 50 milioni; autonomia gestionale in grado di generare almeno il 70% dei ricavi; competenze manageriali reali. Il MUSE di Trento è l’esempio migliore: aperto 365 giorni l’anno, lavora con scuole, università, imprese e associazioni. Non vive di festival, ma di continuità. Con 90.000 visitatori, il Santa Maria non può sopravvivere di biglietti. Serve una visione nuova, più aperta e radicata nel territorio.
Restano inevase le domande fondamentali: quale modello gestionale, quale piano industriale, quali spazi riaprire e in quanto tempo, come attrarre più pubblico, quali competenze reali nel CdA. Invece delle risposte, arrivano slogan: “trasformare il patrimonio in esperienza viva”, “unire locale e internazionale”. Belle parole, ma vuote.
Il Santa Maria della Scala è uno dei più grandi complessi monumentali d’Europa, un luogo unico con mille anni di storia. Eppure è gestito come un museo di provincia, con fondi scarsi e strategie deboli. Ricevere 1,17 milioni dopo diciotto mesi di interlocuzione con il Ministero non è un successo: è la prova che manca un progetto forte. I finanziamenti veri vanno a chi presenta idee chiare e credibili. Gli Uffizi, Modena e Capodimonte lo dimostrano.
Siena ha un tesoro enorme ma addormentato. Finché non ci sarà un piano serio, investimenti adeguati e competenze solide, il Santa Maria resterà un simbolo di occasioni perdute. Festeggiare un milione come “rilancio storico” significa non aver ancora compreso l’ordine di grandezza della sfida. Siamo in alto mare. E con un milione di euro, non si compra nemmeno una scialuppa di salvataggio.