
Cronaca di un mondo in fiamme
18 Ottobre 2025
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18 Ottobre 2025Poco e niente Anche Salvini prova a esultare: «Sulla pace fiscale diamo ossigeno agli italiani»
Di concreto poteva esserci poco e infatti c’è pochissimo. Da una manovrina di 18,7 miliardi ci si potevano aspettare solo segnali, che infatti arrivano e non permettono sorrisi a chiunque debba combattere il pranzo con la cena. Per salari da strozzo e lavoro povero non si arriva ai 2 mld, da spendersi per dare una spintarella, almeno negli auspici della premier e della ministra Calderone, ai contratti sotto il 28mila euro annui. Quelli tagliati fuori dal pezzo forte della quarta legge di bilancio dell’era Giorgia: l’abbassamento dello scaglione Irpef dal 35 al 33% per i redditi da 28mila a 200mila euro. Come cifra è poca roba: come segnale politico è una scelta. I lavoratori poveri d’Italia, che sono legione, devono accontentarsi della parola di Sua Maestà: «Sappiamo che c’è un problema sui salari. Ma non si risolve in un giorno». Di questo passo nemmeno in un secolo.
LO SCONTRO POLITICO interno alla maggioranza, ma anche il segno qualificante di questa miserrima manovra, era la tassa sugli extraprofitti delle banche. Non è stata la volta buona neppure quest’anno. Tajani, con il fiato di Mediolanum sul collo, e l’Abi di Patuelli, si è ancora una volta imposto. Nessuna tassa: base discrezionale e speriamo bene. «Comprendo il principio culturale dietro la richiesta di non tassare», confessa la premier. Comprende e abbraccia, come dettaglia Giorgetti: «Decideranno le banche se è il caso di liberare le loro riserve o meno. Noi offriamo aliquote interessanti». In concreto il 27% invece del 40% e incrociamo le dita. Poi, certo, «il rischio che le risorse non arrivino c’è sempre». Più che un rischio è una certezza.
QUALCOSA, STAVOLTA, le banche hanno dovuto mollare. «Accettano queste misure a malincuore ma l’impatto è accettabile», dice Giorgetti. Non mente. A Patuelli anche questo sembra troppo. Ha accettato la minitassa strutturale, nella notte tra giovedì e venerdì, solo per dribblare la minaccia, messa nero su bianco nel Documento programmatico di bilancio, di una tassa strutturale sugli extraprofitti. Roba da fare gli scongiuri. Meglio quel 2% Irap e sentendosi pure in credito. La premier infatti ringrazia commossa «per l’importante contributo». Qualcosa, nonostante l’autocontrollo, le scappa lo stesso: «Ho trovato nel sistema bancario consapevolezza e volontà di dare una mano. Poi possiamo non essere d’accordo sulla cifra». Eloquente.
TAJANI STAPPA E BRINDA: «Sono soddisfatto come vicepremier, ministro e leader di Fi». Forse anche come amico dei proprietari di Mediolanum ma su questo è meglio glissare. Sul capitolo banche Salvini ha invece poco da festeggiare e infatti copre di iperbolici elogi tutte le voci della manovra ma sulla nota dolente sorvola. Peraltro quel che voleva davvero lo ha ottenuto: la rottamazione delle cartelle, omessa denuncia esclusa, senza una prima rata contundente e con rate bimestrali tutte uguali spalmate in nove anni. «Sono molto contento. Sulla pace fiscale mettiamo ossigeno e speranza in una platea di 16 mln di italiani».
Naturalmente lo rendono altrettanto felice gli aiuti alle famiglie, che sono parchi perché il piatto piange per tutti, ma sono comunque una bandiera. Anzi la bandiera perché a tenere davvero insieme il centrodestra non sono tanto le scelte concrete, sulle quali le divisioni arrivano sempre e puntuali, ma un apparato ideologico che è davvero lo stesso e di cui la sacra famiglia è colonna portante.
MELONI E GIORGETTI, a conti fatti, sono stati salomonici, hanno dispiegato una mirabile capacità di mediazione tra le spinte interne alla maggioranza. Non ci sono veri vincitori e non ci sono sconfitte cocenti perché ciascuno ha avuto la sua bandiera da sventolare molto più nel campo della politica e della propaganda che in quello delle misure concrete: da quel punto di vista, con una miseria simile da spartirsi, nessuno ha di che sorridere.
Ma sul fronte degli equilibri, anzi degli squilibri sociali invece i vincitori e i vinti ci sono eccome. La manovra, ormai già quasi in zona elezioni politiche, delinea il blocco sociale di riferimento della destra. Vincono gli industriali, che sulla carta incassano 8 mld e Orsini promuove, anche se subordina il voto sufficiente alla «lettura dei testi». Vincono le banche e le assicurazioni, che si confermano intoccabili o quasi. Si piazza il ceto medio alto, che comunque con lo scaglione Irpef abbassato guadagna molto più delle pensioni minime aumentate di 20 euro. Sarà pure un po’ meglio degli offensivi 6 euro dell’anno scorso, però appena appena.