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24 Ottobre 2025Un milione per le nuove aperture? La realtà economica di Siena è un’altra
Comune e Fises finiscano per sussidiare indirettamente il mercato immobiliare, più che rilanciare l’economia del centro
di Pierluigi Piccini
Un milione di euro per le nuove attività nel centro storico. È la cifra messa a disposizione da Fises, in accordo con il Comune di Siena, per finanziare imprese artigiane e commerciali con prestiti fino a 100 mila euro e un piccolo contributo sugli interessi, pari allo 0,96%. L’iniziativa viene presentata come un segnale di speranza e di rinascita. Ma se guardiamo ai numeri e alla realtà economica della città, il quadro è molto meno incoraggiante.
Con un plafond complessivo di un milione di euro, il provvedimento potrà sostenere non più di 10–15 aperture, a seconda dell’importo richiesto da ciascuna impresa. È una scala microscopica rispetto al problema strutturale: negli ultimi anni il centro storico ha perso oltre 70 attività, con un saldo negativo che riguarda soprattutto i negozi di prossimità e l’artigianato, mentre l’unico settore in crescita resta la ristorazione.
Il contributo sugli interessi, poi, è quasi simbolico. Oggi il tasso medio sui prestiti alle piccole imprese è intorno al 5%. L’intervento comunale riduce la rata di circa 40–50 euro al mese su un finanziamento da 100.000 euro: una cifra irrilevante per chi deve far fronte a canoni d’affitto tra i 1.500 e i 3.000 euro al mese, a cui si aggiungono spese fisse e costo del lavoro. Il problema non è il tasso d’interesse, ma la redditività insufficiente di un centro storico svuotato di residenti, di servizi e di domanda costante.
In assenza di un piano integrato per la residenzialità, la mobilità e la domanda commerciale, questi incentivi rischiano di produrre solo qualche inaugurazione di facciata, seguita — come troppe volte in passato — da una chiusura dopo pochi mesi. Lo stesso vale per la Tari ridotta o i piccoli contributi comunali: sono strumenti frammentati, privi di una visione di medio periodo.
La vera sfida non è aprire nuovi negozi, ma farli durare. Per farlo serve un contesto economico stabile, che oggi Siena non ha. Il turismo è fortemente stagionale, concentrato in pochi mesi, e la spesa dei visitatori si indirizza quasi esclusivamente verso l’ospitalità e la ristorazione. Le attività tradizionali — librerie, botteghe artigiane, piccole gallerie, laboratori — sopravvivono solo se inserite in un ecosistema urbano vitale, con residenti, studenti, eventi, vita culturale e prezzi degli affitti compatibili.
Un intervento credibile dovrebbe agire sui costi fissi (affitti e bollette) e sulla domanda, non solo sull’offerta. Per esempio: prevedere accordi vincolati con i proprietari per canoni calmierati nei primi due anni, legare i contributi pubblici a obiettivi di durata e fatturato, e soprattutto favorire progetti di artigianato autentico, servizi alla comunità, innovazione sociale e produzioni locali.
Senza questi correttivi, il rischio è che il Comune e Fises finiscano per sussidiare indirettamente il mercato immobiliare, più che rilanciare l’economia del centro. I soldi pubblici devono servire a creare valore reale e duraturo, non a coprire temporaneamente un vuoto che resta strutturale.
Siena ha bisogno di politiche economiche basate su realtà e sostenibilità, non su annunci o formule ideologiche. Servono meno bandi vetrina e più strumenti di sistema: credito agevolato vero, incubatori artigiani in spazi pubblici, agevolazioni per la residenza stabile, eventi culturali fuori stagione.
Solo così potremo tornare a parlare di una città che vive, non di un centro storico che sopravvive a colpi di contributi.





