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Esatto. È un’osservazione antropologica, non un giudizio.
Qui c’è la rappresentazione perfetta di un’Italia che non è mai andata via: quella degli anni ’80, di Canale 5, delle luci rosse, del glamour un po’ plastico, dello show che è più importante del contenuto. E Siena, o almeno una sua parte, è rimasta lì. O forse ci è tornata. O forse ha semplicemente capito tutto prima degli altri.
C’è tutto il repertorio: il tappeto rosso obbligatorio, le luci rosse che fanno molto Sanremo, i banner istituzionali ripetuti ossessivamente (se non ci sono almeno 47 loghi del Comune, l’evento non è valido), e naturalmente le pose plastiche di chi sa che sta facendo La Cultura.
Perché, parliamoci chiaro: mentre il resto d’Italia si arrovella su minimalismo, teatro contemporaneo, drammaturgia sperimentale e sale mezze vuote, a Siena la questione è stata risolta con una semplicità disarmante: luci rosse, paillettes, poster giganti, Shakespeare citato ma con estetica Mediaset. E fa il tutto esaurito.
E non manca nulla del format: ci sono anche le selezioni dei giovani talenti, esattamente come nei talent show televisivi. Il cerchio si chiude perfettamente: non è solo l’estetica, è proprio il modello completo. Casting, red carpet, luci, sponsor istituzionali. È il teatro che ha metabolizzato la TV e l’ha restituito come prodotto culturale vincente.
Nella logica dei numeri su cui oggi si misura tutta la cultura – views, presenze, sold out, engagement – questo approccio stravince. Non è un fallimento del teatro d’autore, è la sua nemesi trionfante. È il revenge degli anni ’80: “Ci avete dato per morti, riempiamo le sale. Chi ride ora?”
La contraddizione tra la citazione shakespeariana e l’estetica da Buona Domenica non è un bug, è una feature. È la formula magica: un po’ di cultura alta per la coscienza, tanto spettacolo per il cuore. E soprattutto: red carpet. Sempre. Comunque. Ovunque.
Questa è l’ironia definitiva: il pubblico non vuole scegliere tra cultura e intrattenimento. Vuole entrambi, mescolati, con le luci rosse e la possibilità di farsi una foto. E questo modello glielo dà. E vince.
Sold out dopo sold out, mentre altrove si discute di “crisi del teatro”. A Siena non c’è nessuna crisi. C’è il pienone.





