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La vicenda Beko è diventata, suo malgrado, un caso emblematico della crisi industriale senese. A viale Toselli si consuma un copione che conosciamo fin troppo bene: un’azienda multinazionale che decide di dismettere, un territorio che subisce, una politica che insegue gli eventi invece di governarli.
Entro fine novembre, un terzo dei lavoratori lascerà lo stabilimento. Gli incentivi all’esodo sono la via d’uscita per chi non ha alternative, mentre altri si trovano a gestire una fase di transizione sempre più incerta. La scena quasi surreale degli operai arrivati da Varese per smontare le linee produttive fotografa meglio di qualsiasi discorso la condizione di abbandono di un sito che, fino a pochi anni fa, rappresentava una delle realtà industriali più solide della città.
Il nome scelto per la nuova società, Invisiena, contiene un simbolismo involontario: “Invi-”, come Invitalia, ma anche “invisibile”. Una società pubblica che dovrebbe salvare un patrimonio produttivo, ma che per ora esiste solo sulla carta. Finché non si vedranno atti concreti, piani industriali, investimenti e una direzione chiara, resterà un segnale timido, quasi burocratico.
Eppure questa operazione, se ben condotta, potrebbe rappresentare un laboratorio di reindustrializzazione intelligente, capace di mettere insieme politica industriale, innovazione e coesione sociale. Ma perché ciò accada, occorre una regia forte, un’idea di sviluppo che oggi sembra mancare.
Siena non è solo una città d’arte e di servizi: è anche un territorio che ha perso progressivamente il suo tessuto produttivo, senza sostituirlo con filiere nuove e stabili. Dalla Whirlpool di Siena alla Beko, dal declino della logistica a quello di tante piccole aziende metalmeccaniche, emerge una verità amara: non basta attendere che lo Stato o una multinazionale trovino soluzioni “dall’alto”. Serve una visione che parta dal basso, dai lavoratori, dalle competenze presenti sul territorio, dai centri di ricerca e dalle imprese locali.
La nascita di Invisiena può essere un primo passo, ma solo se accompagnata da una strategia di politica industriale territoriale. Senza questo, sarà l’ennesima sigla, utile a spostare risorse e responsabilità, ma non a creare lavoro vero.
La lezione della Beko è chiara: non possiamo più permetterci di rincorrere le crisi, dobbiamo prevenirle, costruendo un modello produttivo nuovo, sostenibile e radicato. Altrimenti Siena continuerà a perdere, pezzo dopo pezzo, la propria identità economica insieme alla sua coesione sociale.





