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28 Ottobre 2025«Facilmente raggiungibile, ma difficile da ripartire»: il Pd a Montepulciano con la nostalgia del rito
Tre giorni a Montepulciano per “ricongiungere le correnti” del Partito Democratico. Il racconto dell’evento, tra aneddoti di villeggiatura e toni da cronaca mondana, dice molto più del partito di quanto vorrebbe. Non è solo nostalgia di un luogo, ma del rito stesso della politica che non riesce più a rigenerarsi.
C’è una certa ironia, quasi involontaria, nel modo in cui è stata raccontata la “tre giorni” del Partito Democratico a Montepulciano. L’articolo che ha diffuso la notizia non parla di politica, ma di villette, amicizie estive, pranzi di famiglia e panorami sulla Val di Chiana.
Sembra la sceneggiatura di un film sul tramonto del centrosinistra, più che l’annuncio di un confronto politico — una “vacanza studio” dove la vacanza è sicura e lo studio opzionale.
Che la riunione — pardon, il forum — serva a “ricongiungere le grandi correnti” del partito di Elly Schlein (Area Dem, Dems, Articolo 1) dice molto del suo stato attuale. È un partito che non riesce a unificarsi sui contenuti, e che allora si ritrova sui luoghi. Montepulciano, con la sua eleganza rilassata, diventa la cornice perfetta per una sinistra che parla più di sé stessa che del Paese.
Il tono aneddotico del pezzo — con Speranza che fugge da Castiglione della Pescaia e si rifugia in una villa toscana, tra amici, vino e accoglienza familiare — non è solo giornalismo di colore. È la rappresentazione esatta della crisi del Pd: un partito che confonde la prossimità personale con la comunità politica, l’amicizia con la visione.
Un tempo si citavano Berlinguer, Moro o Prodi. Oggi, nei racconti, si ricordano i pranzi, le vacanze e le scorte che ispezionano i ristoranti. La politica ridotta a Tripadvisor del riformismo.
Il ritorno alle liturgie dell’Ulivo, evocato implicitamente dalla scelta toscana e dai richiami a Gargonza o Spineto, è un esercizio di nostalgia più che di politica. Allora quelle riunioni servivano a fondare un progetto collettivo, a definire un’idea di governo. Oggi sembrano servire solo a fingere che un progetto esista ancora.
Il partito si muove in una geografia simbolica, fatta di luoghi rassicuranti, non di idee conflittuali.
Sotto la superficie cordiale, l’operazione di Montepulciano è il segno di un vuoto: non si cerca una sintesi, ma un equilibrio momentaneo. La leadership di Schlein, invece di ridefinire il campo progressista, appare sospesa tra gli equilibri interni e la ricerca di legittimazione nei riti della vecchia guardia.
È come se il Pd, incapace di parlare al Paese reale, continuasse a parlare a sé stesso in un linguaggio rituale, fatto di sigle e amicizie, di correnti e di location.
E il modo in cui la stampa racconta tutto questo — con il gusto per il dettaglio di provincia e la leggerezza della cronaca mondana — non fa che completare il quadro. Non c’è conflitto politico, non c’è dibattito, non c’è analisi: solo la messinscena di un partito che confonde la familiarità con la forza, il territorio con l’identità, la memoria con la direzione.
Al massimo, si può dire che la sinistra ha riscoperto il turismo di prossimità.
Montepulciano sarà, come scrivono, “facilmente raggiungibile da ogni parte d’Italia”.
Ma da lì sarà difficile ripartire.





