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Un’icona scelta, ma fuori contesto
«Sei Caterina! La voce è libertà». Con questo slogan il Comune di Siena ha scelto Santa Caterina come simbolo della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Una figura potente, certo. Ma davvero rappresenta l’emancipazione femminile?
Cosa scrisse davvero Caterina
Nelle 381 lettere dettate tra il 1367 e il 1380, Caterina parla quasi esclusivamente di fede, di riforma della Chiesa e di pace tra le città italiane. Solo una volta accenna alla condizione delle donne:
«Il mondo non è abituato a donne che compiano lavori di questo genere…»
Non è una rivendicazione, ma il riconoscimento dei limiti imposti dal suo tempo.
Non una teorica, ma una vita fuori dagli schemi
Caterina non fu una femminista ante litteram. Tuttavia, seppe andare oltre la differenza sessuale riferendosi semplicemente all’umanità. La sua libertà fu pagata con un prezzo altissimo: penitenze, digiuni, la morte a 33 anni. Una libertà conquistata attraverso la rinuncia, non la rivendicazione.
La libertà secondo Caterina
Caterina non parlò mai di diritti o di autonomia economica. Visse di carità, nella povertà e nella dedizione assoluta a Dio. La sua idea di libertà era interiore: il distacco dal mondo, non l’indipendenza dal potere maschile.
Un messaggio da non fraintendere
Oggi trasformarla in un’icona dell’emancipazione femminile significa proiettarvi valori che le erano estranei. La sua voce parlava di riforma, non di parità; di pace, non di emancipazione.
«Dopo Caterina lo spirituale dovrà sempre più rifugiarsi nel privato, apparire come un fatto che occorre velare perché straordinario e anche pericoloso per l’esperienza storica della Chiesa.»
Parole che suonano come un avvertimento: la radicalità spirituale può essere più sovversiva di qualsiasi rivendicazione.
Ascoltare la sua vera voce
Santa Caterina resta una figura straordinaria, ma il suo linguaggio non è il nostro. Usarla per le battaglie contemporanee rischia di silenziarla di nuovo, piegandola ai nostri significati.
Forse il modo migliore per onorarla è riconoscere proprio questo: la sua voce parlava d’altro — e proprio per questo, continua ancora oggi a interrogarci.





