Cade l’aggravante del metodo mafioso, ma non le accuse su presunti reati di frodi-carosello e di riciclaggio di denaro. Raffica di condanne nel processo sul canale di riciclaggio della cosca calabrese Scimone tra aziende del distretto del Cuoio di Santa Croce sull’Arno (Pisa).

Il tribunale ha riconosciuto colpevoli 8 dei 12 imputati per reati come usura, riciclaggio, autoriciclaggio e emissione di fatture per operazioni inesistenti; tra i condannati, Antonio Scimone (5 anni 4 mesi di reclusione), il suo uomo di fiducia a Firenze Cosma Damiano Stellitano (4 anni) e Giuseppe Nirta, nipote dell’omonimo capo della ‘ndrina La Maggiore di San Luca di Calabria (2 anni 6 mesi). Sempre Scimone, Stellitano e Nirta sono stati assolti nel merito e prosciolti per prescrizione da altre imputazioni.

L’inchiesta Vello d’oro della Dda fiorentina era partita nel 2014 dalla denuncia ai carabinieri di un imprenditore, che aveva parlato di pesanti minacce in seguito a un prestito che gli era stato concesso a tassi di usura, con un incremento del 17% giornaliero.

Secondo quanto emerso durante le indagini, dirette dall’allora pm Dda Ettore Squillace Greco, il denaro arrivava in Toscana dalla Calabria e veniva consegnato per un acquisto inesistente di pellami. La fattura finta era la pezza d’appoggio che lo stesso imprenditore avrebbe dovuto pagare a Stellitano per giustificare l’aumento di denaro maggiorato.