
Digest Strategico del 6 novembre 2025
6 Novembre 2025
L’ecologia fenomenologica dei materiali espulsi dal sistema
6 Novembre 2025A New York la rivoluzione di Mamdani Il neosindaco: «Abbiamo fatto la storia»
L’affluenza alle urne è stata la più alta degli ultimi cinquant’anni, con oltre due milioni di votanti I democratici vincono anche le sfide per i governatori in Virginia e New Jersey In California passa il referendum per ridisegnare i collegi voluto dai liberal
ANGELA
NAPOLETANO
Progressista, millennial, musulmano: il nuovo primo cittadino di New York, la città più grande degli Stati Uniti, è Zohran Mamdani, 34 anni, eletto martedì con il 50,4% dei voti. Lo sfidante indipendente appoggiato dal presidente Donald Trump, il potente ex governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo, si è fermato al 41,6%. La vittoria del socialista, che fino a poco tempo fa era sconosciuto pure a Google, è di portata clamorosa. E non solo perché alla guida della Grande Mela non c’è mai stato americano di fede islamica. L’esito della tornata, che ha visto il candidato repubblicano Curtis Sliwa racimolare appena il 7% dei voti, suona come un campanello d’allarme per Trump, oltre che per gli stessi democratici, in vista delle elezioni di metà mandato di novembre 2026. Il tycoon ha intanto avvertito: « La gente comincerà a lasciare New York per Miami per fuggire dal suo regime comunista».
L’ascesa del socialista Mamdani pesa, e non poco, su Trump che lo aveva definito un «pazzo comunista» nemico degli ebrei. Ermetico è il post pubblicato su Truth a scrutinio quasi completato: «… e quindi si comincia! ». Inciso che evoca l’inizio di un lungo braccio di ferro tra City Hall e Casa Bianca. « Non mi lascio intimidire », ha risposto il futuro primo cittadino (effettivo dal 1° gennaio), ieri, nella sua prima conferenza stampa, pur ribadendo: « Lascio la porta aperta al dialogo». «Sarò il sindaco di tutti – ha poi assicurato – anche degli ebrei. Il problema dell’antisemitismo lo prendo estremamente sul serio».
Nella stesso giorno, martedì, il tycoon ha dovuto mandare giù altri tre bocconi amari. Sono democratiche anche Abigail Spanberger e Mikie Sherrill, elette (con ampio margine) governatrici, rispettivamente, in Virginia e New Jersey. In California è passato inoltre un referendum che consentirà al parlamento statale di ridisegnare la mappa dei seggi elettorali che, alle prossime elezioni, potrebbe far guadagnare alla sinistra fino a cinque nuovi rappresentanti, compensando una mossa analoga che avvantaggia i repubblicani in Texas. Il presidente ha cercato in ogni modo di farla naufragare, ventilando persino un ordine esecutivo ad hoc, ma non ci è riuscito. « L’orso punzecchiato ha ora ruggito», ha acclamato Gavin Newson, il capo dell’esecutivo statale che ambisce a prendere le redini dei democratici, in riferimento alla “guerra” sui migranti che ha messo i californiani in rotta contro la Casa Bianca. «Che bella notte per il partito», ha celebrato. Il mattino dopo, a colazione con i senatori, il tycoon avrebbe ammesso: « I risultati non sono buoni ma abbiamo imparato la lezione». A suo dire, i repubblicani hanno pagato lo scotto dello shutdown, la paralisi dell’amministrazione legata alla mancata approvazione del bilancio federale.
Martedì, poco dopo la mezanotte (ora locale) Mamdani è salito sul palco dell’ex cinema Brooklyn Paramount per tenere il discorso della vittoria. «In questo momento di buio politico, New York sarà la luce», ha tuonato, aggiungendo: «Se qualcuno può dimostrare a una nazione tradita da Trump come sconfiggerlo, questa è la stessa città che gli ha dato i natali». L’ex magnate, lo ricordiamo, è nato e cresciuto nel quartiere residenziale di Jamaica Estates di
New York, nel Queens, lo stesso distretto in cui vivono oggi Mandami e Cuomo. Rivolgendosi direttamente al tycoon, il futuro sindaco ha gridato: « Donald Trump, so che stai seguendo, per te ho quattro parole: “turn up the volume” (alza il volume)». A seguire, il lungo e fragoroso applauso della folla.
A suggellare il “momento Mamdani” sono stati i «grazie» agli elettori che hanno reso possibile il suo storico approdo sullo scranno più alto della City Hall: gli operai, gli immigrati e le persone di colore. A questi, il socialista ha promesso «una nuova era» caratterizzata da politiche «che riflettano meglio i bisogni delle persone». « Dimostreremo – ha precisato – che non esiste problema troppo grande per essere risolto».
La campagna elettorale del socialista, portata avanti grazie a un esercito di 100mila volontari, è stata centrata sull’abbattimento del costo della vita nella Grande Mela, la città della finanza, dei media, della ricerca medica, in cui la ricchezza – 2,3 trilioni di dollari all’anno – è però concentrata nei portafogli di pochi. Il suo manifesto propone servizi di bus gratuiti per persone a basso reddito, congelamento degli affitti, assistenza all’infanzia universale per i bambini fino a cinque anni, alloggi popolari triplicati e persino una catena di negozi alimentari di proprietà comunale. Obiettivi che i suoi detrattori, molti tra gli stessi dem, definiscono troppo ambiziosi e per questo irrealizzabili.
A chiarire la portata politica dell’ascesa di Mamdani, che ha messo a punto una squadra di sole donne, sono le dichiarazioni arrivate dall’ala progressista dei democratici che, con la batosta subita l’anno scorso da Kamala Harris alle presidenziali, sono sprofondati in una crisi di leadership e consensi. « Partendo dall’1% dei sondaggi, ha realizzato uno dei più grandi sconvolgimenti politici nella storia americana moderna», ha sottolineato il senatore Bernie Sanders su “X”. La deputata Alexandria Ocasio-Cortez si è invece affrettata a sottolineare che la visione di Mamdani «mobilita le persone». L’affluenza alle urne ha superato i due milioni: la più alta degli ultimi 50 anni. Dai “grandi” del partito, come Barack Obama e Hillary Clinton, sono arrivate congratulazioni dai toni concilianti: « Insieme possiamo vincere».





