Poche risorse per le imprese, ben lontane dagli 8 miliardi di euro annunciati dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Impatto nullo sulla crescita, come già emerso nelle precedenti audizioni in parlamento. Dubbi anche sugli effetti sul recupero del gettito tramite la rottamazione delle cartelle.

Le audizioni hanno fatto a pezzi la manovra. Il ciclo, iniziato lunedì, si è chiuso con una serie di bocciature rivolte all’esecutivo. Parole e analisi che gettano un’ombra, molto più delle polemiche quotidiane come quella sugli affitti brevi.

Taglio minimo

Un esempio su tutti: la misura principe della legge di Bilancio, il taglio del secondo scaglione (dal 35 al 33 per cento) dell’Irpef, porterà un aumento in busta paga di 2 euro al mese per gli operai, i pensionati avranno un beneficio di circa 5 euro. Certo, il beneficio medio per la fascia di reddito (28mila/50mila euro) è superiore a 200 euro, ma va calato nelle categorie lavorative. L’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha fotografato il fallimento della finanziaria, analizzando l’impatto dell’intervento più costoso (tra i 2,7 miliardi e 2,8 miliardi di euro) messo in cantiere dal governo Meloni.

«Gli effetti della riforma variano fra contribuenti a seconda del loro reddito prevalente. Nell’ambito dei lavoratori dipendenti, il beneficio medio è pari a 408 euro per i dirigenti, 123 per gli impiegati e 23 euro per gli operai; per i lavoratori autonomi è di 124 euro e per i pensionati di 55 euro», ha riferito la presidente dell’Upb, Lilia Cavallari, ascoltata dalle commissioni Bilancio di Camera e Senato.

Per la Banca d’Italia l’intervento «incide poco sulla disuguaglianza complessiva». E, ammette l’Istat, «effettivamente avvantaggia le famiglie più ricche». Il motivo? «Oltre l’85 per cento delle risorse sono destinate alle famiglie dei quinti più ricchi della distribuzione del reddito». Tanti soldi per poco o nulla, dunque.

Sulle misure di sostegno alle imprese si infrange una degli slogan della destra. Confindustria aveva chiesto 8 miliardi di euro in un anno. Ci sono, ha rilevato la Banca d’Italia, incentivi per «2,3 miliardi di euro all’anno in media nel triennio». E soprattutto: «Si tratta in gran parte di interventi che sostituiscono o prorogano misure analoghe in scadenza». Un déjà vu rispetto agli anni scorsi, come confermato dalla riproposizione di Transizione 5.0, seppure in versione riveduta e corretta.

Addirittura la rimodulazione dell’Isee rischia di avere un effetto boomerang in particolare per le famiglie che vivono in affitto: «In assenza di una corrispondente modifica della franchigia prevista per i nuclei in affitto, appare come una scelta di policy ben definita in favore di specifici nuclei familiari e porta a una disparità di trattamento a sfavore di quelle famiglie che più hanno risentito della crescita dei prezzi nel mercato immobiliare». Quindi «si introducono elementi di iniquità, riconoscendo ai nuclei che vivono in abitazioni di proprietà, a parità di condizione economica e numerosità delle famiglie, una priorità nell’accesso alle prestazioni e maggiori benefici in termini di erogazioni».

Favore agli evasori

La Corte dei conti ha denunciato i rischi derivanti dalla rottamazione delle cartelle, la bandiera del vicepremier leghista, Matteo Salvini, perché le nuove regole «possono incentivare l’omesso versamento». E questo, secondo la disamina della magistratura contabile, «limita le possibilità di ricorrere alla definizione agevolata ai soli casi nei quali il contribuente ha omesso il versamento delle imposte sul reddito e sul valore aggiunto dovuta in base alle dichiarazioni presentate o scaturente dai controlli formali eseguiti».

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha messo le mani avanti per evitare altre critiche. «È l’ultima. La norma è rivolta a quelle imprese che altrimenti non ce la farebbero a continuare l’attività se dovessero onorare tutto il debito in modo immediato», ha detto il numero uno del Mef.

Altro capitolo finito sotto la lente degli organismi indipendenti è l’intervento sul potere d’acquisto. Anche in questo caso il governo ha agito in maniera frettolosa, almeno secondo gli auditi in parlamento. «È improprio assegnare al bilancio pubblico il compito di recuperare il potere d’acquisto perduto dai lavoratori, soprattutto quando la redditività delle imprese può consentire che questo avvenga attraverso la contrattazione», ha evidenziato la Banca d’Italia.

Di fronte alle critiche arrivate da più fronti, Giorgetti ha cercato di organizzare una difesa: «I portatori di interessi hanno legittimamente i propri interessi, qui c’è stata la sfilata di banchieri, assicuratori, industriali. Prendere decisioni è un po’ più complicato, cercando di contemperare tutto».