È ufficiale: Jannik Sinner è il numero 1 e mezzo al mondo. Il Maestro è risalito in cattedra, facendo un altro mezzo passo verso quella lavagna su cui è scritta la classifica di fine anno. Il gessetto ha tracciato un mezzo trattino tra lui e Carlos Alcaraz. La distanza è un mezzo punto, un mezzo soffio, nei giorni migliori: la metà di niente. Ci sono arrivati insieme, all’orlo dell’abisso che li separa dal resto dei tennisti del mondo. Da quando Sinner è tornato ha spinto Alcaraz e viceversa. Si sovrappongono nell’abbraccio finalissimo e si dichiarano: «Se non posso essere io il numero uno, allora che lo sia tu». «Ogni volta che ti batto, torni da me più forte». Parafrasando Jack Nicholson nel vecchio film Qualcosa è cambiato: «Tu mi fai venire voglia di essere un tennista migliore». Poi, quando le luci si spengono, i complimenti si smascherano e la stagione tramonta, mandando in archivio tutte le finali meno una che si sono divise, gli inseguimenti, i sorpassi, i match ball sprecati, le rimonte ardite e le risalite, senza discese mai, non resta che domandarsi: allora, di che cosa è fatto quel mezzo sospiro che li separa? Resteranno uniti, indivisibili, vicini e irraggiungibili o una crepa allontanerà uno dall’altro?
L’annata di Sinner
Hanno appena vissuto un’annata impensabile. Alcaraz si era perso in Australia, Sinner nella nuvola del clostebol. Da quando sono riapparsi, in primavera, si sono ripresi tutto: una volta prima uno, per mezzo centimetro, una volta l’altro. Hanno guadagnato un patrimonio, eclissato una generazione, insieme. Alcaraz ha speso più sorrisi e più imprecazioni. Sinner subito più polemiche, non sempre comprensibili. Li abbiamo visti arrivare affiancati al traguardo sulla terra, sull’erba, sul cemento; all’aperto e al coperto. Ognuno con i suoi mezzi e le sue specialità, spesso rubandole all’altro. Se invece del calcolo di un sistema astruso, decidesse il verdetto di una giuria pensante, sarebbero adesso primi ex aequo. Invece no, resta a dividerli il mezzo soffio. Da che parte tirerà in futuro? L’incontro di ieri spiega molte cose.
Il confronto tra i migliori
I due non hanno finora mai giocato la partita perfetta. Sarebbe quella a cui giungono con tutte le armi e tutte le usano. Quella in cui il servizio funziona a entrambi, Sinner suona la sua musica di percussioni crescenti e Alcaraz risponde con le sue variazioni continue. Non sappiamo ancora chi vincerebbe quel match. Da ieri sappiamo però che Sinner può vincere le partite imperfette, quelle in cui si presentano mezzo sguarniti: lui senza la prima palla di servizio e l’altro senza le discese a rete. La partita senza illuminazione (non quella artificiale) in cui lui insiste ad alzarsi malamente la palla per la battuta (nonostante i consigli dalla panchina) e l’altro ad avanzare verso l’errore (nonostante la promessa alla panchina di non farlo più).
Il mezzo gradino da salire
Quando i migliori non sono al meglio sanno per esperienza (benché abbiano 22 e 24 anni) che due scambi decidono il destino. Sinner non vince il primo set al tie- break, ma quando annulla il set point di Alcaraz con una seconda di servizio. E non vince il secondo al dodicesimo game, ma nell’unica battaglia che vada oltre i 20 colpi, 24 per la precisione, al termine della quale invoca il sostegno del pubblico e gli annuncia che il trionfo è vicino perché ha capito una cosa semplice: se giocano, vince lui. Per questo Sinner corre sui sentieri del match e Alcaraz cerca le scorciatoie. Uno può farcela andando a tempo, l’altro deve imprimere un’accelerazione. Quel che Torino lascia a futura memoria, per gli slam a venire, è che Sinner ha più comprensione del momento, Alcaraz ha necessità di crearlo e poi subito sovvertirlo. Ha però aggiunto che Jannik non è ancora uscito dalla comfort zone. Trova il servizio, la smorzata, la volée quando è spalle al muro, ne fa la sua “mossa del matto” più che una saggia risorsa. Ecco il trattino che può essere cancellato, il mezzo gradino da salire. Ma non è questo il tempo. «Adesso riposa», si sono detti a vicenda: dal peso della felicità e dalla grandezza dei mezzi miracoli.






