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18 Novembre 2025Polemiche La destra organizza un convegno dedicato allo scrittore «conservatore»
È toccato prima al fondatore del Partito comunista italiano, con il libro del ministro Giuli, Gramsci è vivo. Ora è il turno di Pasolini, ma il proposito è sempre lo stesso: dare nuova dignità culturale alla destra facendo interagire i propri temi identitari con quelle figure che possiedono un forte capitale simbolico, come appunto Gramsci e Pasolini. L’operazione, che rientra nei piani «egemonici» di FdI, avrebbe forse anche una sua rilevanza strategica o comunque culturale. È tuttavia condotta in modo così rozzo e superficiale che si riduce a un esercizio fatuo e caricaturale, che prescinde dal più elementare vaglio filologico e che si accontenta di scovare in modo pseudo scandalistico rapporti di analogia con la cultura di destra a partire da brandelli letterari e da episodi biografici ritagliati a misura dei propri scopi.
Già in prossimità del cinquantenario della morte di Pasolini, in un’intervista rilasciata al Foglio, il presidente della commissione Cultura alla Camera, Federico Mollicone, deputato di FdI, ha fornito un estratto di queste curiose manovre interpretative presentando come un fatto ignoto e accuratamente nascosto da chissà quali forze oscure della sinistra la giovanile frequentazione dei Guf e della Gil. Non si sa bene cosa se ne dovrebbe ricavare visto che la partecipazione alle organizzazioni fasciste era un fatto quasi obbligato per gli adolescenti dell’epoca.
DEL RESTO, leggendo Pasolini, si vede molto chiaramente come la conoscenza diretta del ventennio abbia alimentato non un’affinità con i temi della destra, ma quella profonda ostilità al regime e alla sua ideologia nel corso degli anni Quaranta sostanziata dall’adesione al marxismo, a cui lo scrittore si è sempre richiamato sino agli ultimi giorni della sua vita.
Anche in passato qualcuno aveva tentato di cambiare segno all’orientamento politico di Pasolini provando addirittura a trascinarlo nei territori dell’antipolitica e dell’antipartitismo, sebbene da lui fossero stati duramente osteggiati e giudicati come fonte di qualunquismo. Sul finire del 1974, all’interno del suo articolo corsaro più famoso, noto col titolo Il romanzo delle stragi, dopo aver definito il Pci «un paese nel paese», aggiunge: «Credo nei princìpi “formali” della democrazia, credo nel parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista». È evidente che quello che ha detto e scritto Pasolini sembra interessare poco chi intende appropriarsi del suo nome.
Non interessa di sicuro alla compagine meloniana, incapace di liberarsi dalle antiche tare già individuate dallo scrittore nel giugno del 1974: «L’Italia – scrive sul Corriere della sera – non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla». Su queste basi e dopo la mirabolante scoperta dell’acqua calda da parte di Mollicone la nuova offensiva «egemonica» prevede per il prossimo 25 novembre un nuovo convegno a Roma, il cui ospite d’onore sarà il presidente del Senato Ignazio La Russa.
SU UN PUNTO occorre comunque convenire. Sapere che la destra legge Pasolini non può che far piacere. Il titolo del convegno, «Pasolini conservatore», conferma che però nemmeno in questa occasione l’obiettivo è la lettura o lo studio, ma è l’arruolamento forzato. (Nello stesso giorno, il 25 novembre, Maurizio Acerbo, Rifondazione comunista, ha annunciato un controconvegno dedicato allo scrittore, ndr). La stessa idea di invitare esclusivamente relatori di area, senza diretti specialisti, fatta eccezione per Alessandro Gnocchi, è il segno che le questioni intorno al «Pasolini conservatore» interessino non per il loro contenuto ma per il dato esteriore da spendere sul piano mediatico. È dunque molto improbabile che l’operazione riesca. Anzi, il rischio è che la voglia matta di egemonia si rovesci nel suo esatto contrario. Se infatti è vero che parole come «conservazione» e «tradizione» effettivamente compaiono nel vocabolario dello scrittore, il loro significato non ha certo a che fare con la destra.
Nei versi di Poesia in forma di rosa, ad esempio, Pasolini afferma che «È per l’Istinto di Conservazione che sono comunista!». Chissà poi cosa pensano il presidente del Senato e gli altri relatori di quanto il poeta scriveva nel 1962 su «Vie Nuove» intorno al tema della tradizione: «Solo la rivoluzione può salvare la tradizione: solo i marxisti amano il passato: i borghesi non amano nulla, le loro affermazioni retoriche di amore per il passato sono semplicemente ciniche e sacrileghe: comunque, nel migliore dei casi tale amore è decorativo (…) non certo storicistico, cioè reale, capace di nuova storia». Nella critica alla modernità formulata da Pasolini non c’è nulla che lasci intendere una qualche apertura a destra.
VI È SEMMAI IL TENTATIVO di approfondire l’analisi del capitalismo e di reagire al potere alienante della civiltà dei consumi, capace di penetrare nella vita delle classi popolari e di vanificare le aspirazioni umanistiche e sociali della sinistra. Lo stesso recupero del passato promosso da Pasolini si iscrive nella traiettoria marxista in dialogo con Gramsci e Benjamin: attraverso dunque un’attitudine originale ed eterodossa, ma proprio per questo feconda se studiata con spirito filologico contro le letture strumentali e sensazionalistiche.





