
Wilson Pickett – In the Midnight Hour
19 Novembre 2025La desertificazione del commercio in Toscana: un rischio sistemico per le città e la democrazia urbana
Locali sfitti, negozi che chiudono, strade sempre più buie e prive di movimento: è l’immagine che attraversa oggi molte città toscane. Una fotografia che non riguarda solo l’economia del dettaglio, ma la qualità della vita, il presidio sociale, la sicurezza urbana e l’identità stessa delle comunità. La desertificazione commerciale non è più un semplice ciclo negativo: è diventata un fenomeno strutturale, un vero punto di rottura.
I numeri parlano da soli. In Toscana ci sono 8.600 fondi sfitti, quasi il 20% del totale. Le proiezioni dicono che entro il 2035 potrebbe scomparire un quarto dei negozi nei capoluoghi. Arezzo, Pistoia, Lucca, Livorno e Massa sono le più esposte, ma Siena, Pisa e Firenze non sono molto distanti. Il risultato è chiaro: centri storici più poveri, più fragili, meno abitati.
Arezzo ha perso negli ultimi dodici anni il 34% dei negozi alimentari, il 16% dell’abbigliamento e oltre il 32% delle calzature. A Siena il centro storico è passato da 322 attività nel 2012 a 243 nel 2024. La ristorazione e gli affitti brevi hanno occupato lo spazio lasciato vuoto dal commercio tradizionale, trasformando il cuore delle città in scenari di consumo veloce, spesso privi di vita quotidiana.
Ogni negozio che chiude spegne una luce, riduce il passaggio, aumenta la percezione di insicurezza. Le strade diventano scenografie, non luoghi di relazione. Qui la politica non può limitarsi alle ricette note: piccoli incentivi, eventi, misure leggere. La crisi è profonda e richiede risposte strutturali.
Una prima direzione è la creazione di un Fondo Toscano per la Riconversione Commerciale, capace di acquisire o gestire direttamente gli immobili sfitti e rimetterli sul mercato con canoni sostenibili e contratti stabili. Non si tratta di distribuire bonus, ma di costruire una politica industriale del commercio urbano. A questo deve affiancarsi una fiscalità che contrasti la rendita passiva: una super-imposta sui locali chiusi da più di due anni e la possibilità di imporre la locazione a fini pubblici dopo i tre, come accade in Francia. È l’unico modo per invertire la convenienza economica che oggi spinge a lasciare i fondi vuoti.
Altro intervento decisivo è la moratoria sulle nuove aperture di ristorazione e sugli affitti brevi nelle aree ormai sature. Per ristabilire equilibrio servono limiti per isolato e la garanzia che una quota minima di attività non turistiche resti presente nel quartiere. Accanto a questo, i Comuni dovrebbero introdurre un sistema di quote commerciali per categorie merceologiche, così da evitare la trasformazione dei centri in monocolture e restituire pluralità all’offerta.
Gli spazi sfitti, poi, possono diventare una risorsa se riconvertiti in laboratori artigiani, atelier, coworking culturali, manifattura digitale, luoghi di formazione. Una città torna viva quando torna a produrre, non solo a consumare. Per riattivare le attività essenziali dei quartieri è utile anche un “reddito di vicinato”, un sostegno mirato a librerie, panifici, botteghe, drogherie: non bonus generici, ma interventi chirurgici sui vuoti funzionali. Chi apre un’attività nel centro storico dovrebbe poterci abitare: la presenza quotidiana è la prima forma di vitalità urbana.
Nessuna rigenerazione è possibile senza il ritorno dei servizi pubblici nei centri: sportelli, sanità territoriale, poli civici, spazi educativi. Una città funziona quando è attraversata dai suoi abitanti e non lasciata alla sola economia turistica. Tutto questo va sostenuto da un nuovo patto fiscale locale che premi le attività che garantiscono presidio reale, qualità del servizio e occupazione, invece di favorire, direttamente o indirettamente, le rendite immobiliari.
Conclusione
La Toscana rischia di entrare in una spirale in cui le città storiche perdono residenti, funzioni, identità e sicurezza. Invertire questa tendenza è possibile solo con politiche coraggiose, capaci di toccare i nodi strutturali: la rendita immobiliare, la monocultura turistica, la perdita di abitanti, la marginalizzazione del commercio di prossimità. Non è una battaglia per salvare i negozi, ma per salvare le città. Per difendere la loro vita civile, la loro trama sociale, la loro umanità.
La luce di una vetrina non illumina solo un marciapiede: illumina un’idea di comunità.
Oggi quella luce è in pericolo.
Pierluigi Piccini





