
DIGEST STRATEGICO – martedì 25 novembre 2025
25 Novembre 2025
LA GRANDE DISAFFEZIONE
25 Novembre 2025
Le elezioni regionali appena concluse non raccontano una svolta, ma la conferma di un sistema che si mantiene in equilibrio più per abitudine che per forza. Le coalizioni conservano i propri territori tradizionali, i rapporti di potere restano stabili e la geografia politica appare immutata. A cambiare davvero è il rapporto tra cittadini e istituzioni: il voto si svuota, la partecipazione scende sotto la soglia simbolica del cinquanta per cento e la legittimazione delle leadership si fa più fragile.
Il dato dell’astensione è il cuore del problema. Considerarlo “normale”, come ormai si tende a fare, significa ignorare un malessere profondo. Quando un elettore su due sceglie di non votare, il segnale non è neutro: indica la perdita di fiducia verso un sistema che appare incapace di offrire motivazioni reali alla partecipazione. Questo calo non è una parentesi, ma un trend che mette in discussione la tenuta stessa della democrazia rappresentativa.
Nonostante ciò, i principali partiti leggono i risultati secondo logiche autoreferenziali. Nel campo progressista si respira entusiasmo dopo le vittorie al Sud, ma questa euforia rischia di nascondere le contraddizioni interne all’alleanza con il Movimento 5 Stelle. L’unità paga dal punto di vista tattico, ma resta fragile: differenze su Europa, politica estera e priorità programmatiche continuano a emergere. Inoltre, i ruoli ottenuti dal M5S nelle regioni non corrispondono a un’espansione del consenso, che rimane modesto e poco capace di intercettare il disagio sociale.
Nemmeno il centrodestra può dirsi al riparo. Il risultato in Veneto, dove la Lega supera il partito della presidente del Consiglio, mostra quanto l’elemento locale pesi più delle dinamiche nazionali. La stabilità della coalizione è meno solida di quanto sembri, e il dibattito su una nuova legge elettorale rivela timori più profondi: quando una maggioranza cerca nella norma ciò che il voto non garantisce più, significa che la fiducia nel proprio radicamento si è indebolita.
Sul fondo rimane una questione ancora più ampia: la crescente distanza tra politica e società. I toni alti, le contrapposizioni esasperate, la continua semplificazione dei conflitti non mobilitano più nessuno. La partecipazione non si recupera con slogan o con operazioni di facciata, ma ricostruendo un legame credibile con la vita reale delle persone. Senza questa ricostruzione, ogni elezione rischia di trasformarsi in un rito amministrato da minoranze sempre più ristrette.
Il referendum sulla giustizia previsto per il prossimo anno sarà un test decisivo. L’assenza del quorum può trasformarlo in una competizione tra gruppi radicalizzati, con la maggioranza silenziosa relegata ai margini. È qui che si misura lo stato di salute della democrazia italiana: nella capacità di riportare i cittadini dentro il processo decisionale, non di escluderli.
Le regionali di oggi lo dicono con chiarezza: il problema non è chi vince o chi perde, ma chi non vota. Finché la politica non affronterà questo vuoto, ogni vittoria sarà fragile e ogni risultato parziale. La democrazia non vive solo attraverso i vincitori, ma attraverso la partecipazione di chi sceglie se e perché recarsi alle urne. E oggi, in quell’assenza, si trova il vero nodo da sciogliere.





