
Beko–Sindacati, la vertenza entra nella fase più critica mentre la reindustrializzazione muove i primi timidi passi
4 Dicembre 2025di Pierluigi Piccini
Le crisi industriali che attraversano Siena e la provincia raccontano una fragilità strutturale che non può più essere considerata episodica. Il caso Paycare, con la decisione della proprietà di avviare la liquidazione della società e lasciare a casa 33 lavoratori, è solo l’ultimo segnale di un sistema produttivo esposto, poco diversificato e incapace di sostenere shock di mercato o transizioni tecnologiche.
La chiusura di Paycare colpisce per la rapidità e l’assenza di un vero confronto. Nessuna trattativa, nessuna proposta di reindustrializzazione: solo la scelta unilaterale di abbandonare un territorio già provato da anni di contrazioni occupazionali. Ancora una volta le istituzioni intervengono quando il quadro è già compromesso, cercando ammortizzatori sociali e tavoli ministeriali che troppo spesso si trasformano in misure-tampone, senza incidere sulla radice del problema.
Una dinamica simile emerge anche a Sinalunga, dove per i 43 lavoratori della Capaccioli si intravede un possibile piano industriale. Ma anche qui la prospettiva resta sospesa fra ipotesi e verifiche, dentro un contesto fatto di imprese familiari, piccole dimensioni e difficoltà a sostenere investimenti strutturali. È una costante del manifatturiero locale: aziende che vivono ciclicamente fasi di crisi perché non inserite in una strategia di sviluppo territoriale.
Ed è proprio questo il nodo. Ogni crisi viene affrontata come un caso a sé, quando invece è parte di uno stesso processo: l’assenza di una visione industriale chiara, capace di integrare formazione, innovazione, logistica, transizione ecologica e attrazione di imprese. Siena e la sua provincia stanno pagando anni di rinvii e sottovalutazioni, in cui le politiche economiche si sono limitate a gestire l’emergenza senza costruire una prospettiva di medio periodo.
I lavoratori sono i primi a sopportarne il peso: nei servizi, nelle fabbriche, nei presidi economici che lentamente si assottigliano. Ma la loro difficoltà è lo specchio di un territorio che non può più permettersi la frammentazione delle risposte. Serve un disegno che metta al centro la qualità del lavoro, la stabilità delle filiere e la capacità di trasformare le transizioni in opportunità concrete.
Raccontare queste vicende non significa indulgere nel pessimismo. Al contrario, è il punto da cui ripartire. Perché senza una diagnosi chiara non esiste cura, e senza un progetto non esiste futuro. Oggi Siena ha bisogno esattamente di questo: una direzione riconoscibile, un’assunzione di responsabilità e la volontà politica di ricomporre i pezzi di un sistema economico che chiede di respirare.





