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Buongiorno da Laura Silvia Battaglia. Oggi il panorama internazionale si presenta come un mosaico di tensioni che attraversano continenti diversi, ognuna con implicazioni politiche e umanitarie profonde.
Si parte dal Venezuela, dove il confronto con gli Stati Uniti si è inasprito dopo il sequestro di una petroliera al largo delle coste venezuelane. La BBC riferisce che Washington ha imposto sanzioni su altre sei navi, un colpo diretto al settore petrolifero, vero motore economico del Paese. Il New York Times inserisce l’episodio in un quadro più ampio: l’arresto di una nave impatta sul fragile equilibrio interno e si somma alla vicenda di María Corina Machado, premio Nobel per la pace, che racconta come gli Stati Uniti abbiano facilitato la sua fuga dal Paese. Nel frattempo, Nicolas Maduro parla direttamente al popolo statunitense attraverso El Universal, chiedendo che non si scelga “la guerra e il sangue per il petrolio”, mentre la diaspora venezuelana negli USA, come osserva DW, oscilla tra il desiderio di un cambiamento e il timore di un intervento militare.
Dal Sudamerica ci spostiamo al Sud-Est asiatico, dove il clima politico è incandescente. In Thailandia, secondo DW, il primo ministro ha sciolto il Parlamento aprendo la strada a elezioni anticipate, mentre il Cambodian Daily denuncia incursioni militari thailandesi che avrebbero colpito cinque province cambogiane. Una tensione che si inserisce in una regione già scossa, letteralmente, dal terremoto di magnitudo 6,7 in Giappone, con la BBC che segnala la revoca dell’allerta tsunami. Sul fronte cinese, un’inchiesta della BBC riporta testimonianze drammatiche dalle “scuole” per adolescenti ribelli, luoghi di abusi e coercizioni lontani dagli occhi dell’opinione pubblica.
Più a nord, la retorica militare della Corea del Nord si inserisce nel quadro della guerra in Ucraina. Al Jazeera riferisce che Kim Jong-un ha celebrato il ruolo dell’esercito “sempre vittorioso” nel conflitto, una dichiarazione propagandistica che però conferma l’ampliarsi del perimetro geopolitico della guerra.
Il Guardian offre invece due prospettive dal fronte ucraino: da un lato, Zelenskyy afferma che gli Stati Uniti vorrebbero un ritiro dal Donbas e l’istituzione di una “zona economica libera”; dall’altro, un testimone racconta gli ultimi giorni di una giornalista ucraina morta in un carcere russo, descritta come “molto, molto magra”, una testimonianza che riporta al centro l’abuso dei diritti umani.
Si chiude a Gaza, dove lo scenario resta drammatico. Al Jazeera racconta degli sfollati che affrontano una tempesta senza quasi nulla, mentre il Times of Israel riferisce che Israele ha accettato la richiesta statunitense di finanziare l’imponente operazione di rimozione delle macerie, un passo necessario per la fase post-bellica ma ancora insufficiente rispetto alle condizioni della popolazione.
Un quadro frammentato, in cui guerre, pressioni economiche e crisi umanitarie si sovrappongono. Resta aperta la questione più urgente: chi avrà la capacità — e la volontà — di riportare il dialogo internazionale al centro, prima che la spirale di tensioni diventi irreversibile?





