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L’operazione che intreccia Monte dei Paschi e Mediobanca continua a muoversi in una zona d’ombra dove le versioni ufficiali e le ricostruzioni emerse successivamente non coincidono, ma vengono ricondotte a un quadro formalmente compatibile dall’autorità di vigilanza. È qui che si misura la distanza tra la correttezza procedurale e la sostanza dei rapporti di potere.
Il primo nodo riguarda il collocamento, nel novembre 2024, di una quota significativa di Mps ancora in mano al Tesoro. A distanza di mesi, il ministero dell’Economia ha assicurato che prima di quell’operazione non vi sarebbero stati contatti con i soggetti che poi hanno acquisito partecipazioni rilevanti. Una ricostruzione lineare, ma difficile da sovrapporre a quanto dichiarato da uno dei principali protagonisti industriali, che ha parlato di interlocuzioni dirette, avvenute nelle settimane precedenti, per sondare l’interesse di potenziali investitori e valutare scenari più ampi, non limitati alla banca senese.
Il secondo passaggio critico riguarda la crisi del consiglio di amministrazione di Mps nel dicembre 2024. Anche in questo caso, la posizione ufficiale del Tesoro è stata quella dell’estraneità: nessuna pressione, nessun invito alle dimissioni. Eppure alcuni ex consiglieri hanno riferito di contatti avvenuti in quei giorni con figure riconducibili all’area politica del ministero, presentati come un passo necessario per favorire un riassetto della governance.
Di fronte a queste discrepanze, la Consob ha adottato una lettura che disinnesca il conflitto senza negarne l’esistenza. Le contraddizioni vengono definite solo apparenti, perché le richieste dell’Autorità erano state indirizzate alle strutture amministrative del ministero e non agli uffici politici o alle figure di staff. Ciò che resta fuori dal perimetro formale del Dipartimento, in sostanza, non entra pienamente nel perimetro dell’accertamento.
Anche l’eventuale coinvolgimento informale di esponenti politici o di assistenti ministeriali viene così derubricato a elemento non decisivo. Secondo la vigilanza, iniziative di questo tipo, se circoscritte, non configurano un’azione concertata con i soggetti impegnati nella scalata a Mediobanca, ma possono essere lette come comportamenti coerenti con l’esigenza di garantire un cambio ordinato nella guida di una banca di rilevanza sistemica.
Il risultato finale è un’assoluzione regolatoria che lascia però irrisolto il nodo politico e istituzionale. Non tanto sulla legittimità formale degli atti, quanto sul confine, sempre più sottile, tra indirizzo pubblico, relazioni personali e neutralità delle procedure quando in gioco c’è l’assetto del sistema finanziario nazionale.





